Per essere sicuri che sia davvero lui serve un atto di fede, perché la qualità del collegamento video è davvero pessima. Eppure è lui, non ci sono dubbi: Salvatore Riina, il Capo dei Capi, rinchiuso nell'ospedale di Parma, e connesso via tv con l'aula del tribunale di Milano dove si celebra un processo a suo carico. E quello che colpisce, nelle immagini che arrivano in aula, è che il Padrino è una larva. Rimane steso per tutta la durata dell'udienza, a gambe larghe, gli stinchi magrissimi che spuntano dai calzoni. Non muove la testa, non muove le gambe né le braccia. A guardarlo così, si direbbe che non manchi molto al giorno in cui gli toccherá raggiungere il suo successore Bernardo Provenzano, morto il 16 luglio scorso dopo dieci anni di carcere duro.
Il processo che si apre ieri a Milano é una inezia, rispetto ai crimini terribili per cui Riina sconta l'ergastolo: è accusato di minacce a pubblico ufficiale, per le frasi pesanti che - un po' in italiano, più spesso in dialetto - riservò nell'agosto del 2003 al direttore del carcere di Opera, dove era all'epoca detenuto, Giacinto Siciliano. Sono una parte delle intercettazioni ormai famose in cui, conversando durante l'ora d'aria con il detenuto Alberto Lorenzo, il boss se la prendeva un po' con tutti, dai magistrati palermitani al ministro Alfano: e non si è mai capito se fossero gli sfoghi di un ottantatreenne ormai non più lucido, o messaggi deliberatamente lanciati all'esterno, nella consapevolezza di essere intercettato. Tra i tanti, ce n'era anche per il direttore Siciliano, cui Riina raccontava di avere mandato avvertimenti espliciti: "Minchia il direttore lo ha capito quando gli ho detto 'state attenti a quello che fate.. perché io in queste cose ci vado a fondo e sicuramente la vinco".
Dell'esistenza delle minacce a Siciliano aveva parlato per la prima volta nell'agosto 2014 Giovanni Tamburrino, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, aggiungendo che si stava valutando se mettere sotto protezione il direttore del carcere milanese. Nel frattempo, le intercettazioni venivano analizzate dalla Squadra Mobile del capoluogo lombardo, e ne sono scaturiti prima l'incriminazione e poi il rinvio a giudizio del boss corleonese. Il processo ora si ferma, in attesa che vengano trascritte da un perito tutte le conversazioni intercettate nel carcere.
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