Una scelta di coalizione

Lo spoils system esiste. Letteralmente è il "sistema di bottino". Nella realtà è una pratica antica che la politica utilizza nelle democrazie

Una scelta di coalizione

Lo spoils system esiste. Letteralmente è il «sistema di bottino». Nella realtà è una pratica antica che la politica utilizza nelle democrazie: quando cambia la maggioranza di governo, cambiano anche i dirigenti pubblici. E il «bottino» è il potere economico e finanziario che ci sta sotto. Quindi che il governo politico di centrodestra guidato da Giorgia Meloni elabori il proprio spoils system non è occupazione del potere: è normale. Il giudizio riguarda il metodo.

A questo giro le nomine sono le più importanti: i vertici di Eni, Enel, Terna, Poste e Leonardo scadono ogni tre anni e guidano cinque colossi industriali e strategici per l'economia e la sicurezza nazionale. Inoltre sono quotati in Borsa: la gran parte del capitale è nelle tasche di investitori di tutto il mondo che, sulla base dei risultati, fanno salire o scendere le quotazioni della corporate Italia. Una situazione che ha messo la premier di fronte a una scelta ben precisa: da un lato lasciare il segno nella prima grande partita del suo giovane governo, dall'altro evitare di farsi condizionare da questo o quell'interesse particolare (di partito, di potere, di amicizia) e rischiare di incrinare la reputazione del Paese. Il tutto senza indebolire la coesione della coalizione. Missione compiuta? L'impressione è che, nel tentativo di accontentare quasi tutti, un'operazione troppo ambiziosa sia riuscita solo a metà.

Da mesi Meloni ha fatto pesare di essere il leader assoluto della maggioranza. Solo così poteva garantire un risultato che non fosse frutto di compromessi. E scegliere i capi azienda per competenza e non per appartenenza politica. Ascoltando prima di tutto gli alleati e poi qualche consigliere anche estraneo a questa maggioranza. Ma poi decidendo in autonomia e in prospettiva di un periodo storico nel quale le big five a controllo pubblico devono vedersela con i progetti del Pnrr, le transizioni ecologica e digitale e la guerra. Ne è uscito un quadro misto di conferme e novità, condito dal buon senso di non rischiare la rottura con gli alleati di governo: la nomina di un top manager come Flavio Cattaneo all'Enel - caldeggiata da Lega e Forza Italia ma osteggiata fino all'ultimo dalla premier che gli preferiva il meno titolato Stefano Donnarumma - è stata la scelta finale con la quale Meloni ha tutelato, nello stesso tempo, mercato, competenza e compattezza della sua maggioranza. Operazione completata con il ritorno nel grande giro di Paolo Scaroni, il manager che Silvio Berlusconi scelse per guidare Enel (e poi Eni) ormai 21 anni fa.

Questo passaggio non è stato però indolore. Perché impedisce alla premier di uscire dalla tornata di ieri con il fiore all'occhiello della prima donna mai nominata al vertice di una big di Stato. Giuseppina Di Foggia, manager di Nokia, dovrebbe andare a Terna. Ma il dietro front sull'attuale numero uno Donnarumma ha bloccato tutto, facendo slittare queste nomine. E complicando oggettivamente una partita forse data per chiusa troppo presto. Se si tratta solo di un giorno di ritardo, e con quale esito, lo vedremo oggi.

Di sicuro un'operazione complessa come la matrice delle nomine di 5 partecipate dello Stato completata centrando ogni obiettivo previsto sarebbe stata la chiusura di un cerchio straordinario. Invece il cerchio resta aperto.

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