Per una settimana, alla recente Buchmesse di Francoforte, gli scrittori italiani hanno raccontato al mondo che la libertà d'espressione, nel nostro Paese, è messa in dubbio da un minaccioso governo di estrema destra. Roberto Saviano, Antonio Scurati, Paolo Giordano hanno discettato sul ruolo dello scrittore nelle «democrazie illiberali» e nelle «democrature». Si sono definiti o si sono lasciati definire «dissidenti». Parliamo di autori che pubblicano con le principali case editrici, hanno contratti di collaborazione con quotidiani nazionali, sono frequentemente ospiti in televisione, partecipano a un numero infinito di manifestazioni pubbliche, hanno visto le proprie opere adattate per il cinema e la televisione. Insomma, hanno la massima visibilità e nessuno si sogna di levargliela. I dissidenti sono un'altra cosa, non avevano sette editori, come Saviano; diffondevano i propri libri attraverso il samizdat; finivano nei gulag; venivano esiliati o peggio. Ma non c'è bisogno di tornare ai «fasti» della censura sovietica. Ieri le autorità iraniane avrebbero emesso un'ulteriore condanna a sei mesi di carcere nei confronti della premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, famosa per la sua battaglia contro la pena di morte. L'accusa sarebbe «disobbedienza e resistenza agli ordini».
Un gruppo che si batte per l'attivista, la Free Narges Coalition, ha spiegato che Mohammadi avrebbe inscenato una protesta contro l'esecuzione di un prigioniero politico nel reparto femminile della prigione di Evin, il 6 agosto. Il governo iraniano non ha negato l'ulteriore condanna, ma poco importa. La realtà è che Mohammadi fa dentro e fuori dal carcere fin dal 2016. Ecco, questa è dissidenza.
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