Il sistema Italia in pezzi. La manutenzione arriva soltanto dopo le tragedie

Dal Morandi al Mottarone fino al cavalcavia di Novara. Anni di incuria e stragi annunciate. Il direttore del centro studi dell'Ance: "Priorità data ai bilanci e ai risparmi"

Il sistema Italia in pezzi. La manutenzione arriva soltanto dopo le tragedie

Cinquantun anni senza un solo intervento di manutenzione. Dal 1967, dall'inaugurazione del ponte, al 24 agosto 2018, quando la pila 9 venne giù con il Morandi. Per mezzo secolo la pila 9 è stata ignorata e la manutenzione dimenticata; una circostanza incredibile, ancora di più se è vero quel che sostengono i pm di Genova nel processo in pieno svolgimento: già nel 1990 si sapeva che la pila era deteriorata e aveva bisogno di interventi urgenti. I tecnici avevano sentenziato che c'erano «due trefoli lenti e due cavi scoperti su quattro».

Siamo davanti a una sciagurata, anzi criminale - se così verrà dimostrato - trasandatezza, ma l'Italia ci ha abituato purtroppo a questi disastri. Strano Paese il nostro: non si fanno le opere pubbliche, si discute del Ponte sullo Stretto da decenni e si litiga sul rigassificatore di Piombino, anche se il prezzo del gas ha raggiunto livelli stratosferici e le bollette sono diventate un'emergenza nazionale. Non si costruisce e i comitati del no s'ingrossano da Nord a Sud, ma nemmeno si restaura, come insegna il dramma del cavalcavia crollato a Novara e che, davvero solo per miracolo, non si è trasformato in una tragedia.

Gli esempi sono innumerevoli e toccano i troppi punti vulnerabili dell'Italia: in testa, vedi a Genova ma non solo, la rapacità umana, ma poi anche il più sciatto e colpevole dei fatalismi, l'intreccio perverso delle competenze, l'intermittenza dei controlli e la lentezza proverbiale della giustizia. E però queste scene apocalittiche si ripetono con una frequenza disarmante. Bastava sfogliare i quotidiani di ieri per ritrovare i famigerati precedenti di quel che è accaduto a Novara. Il 28 ottobre 2016, giusto sei anni fa, quando crolla un cavalcavia ad Annone, sulla Milano-Lecco, mentre passa un tir di oltre 108 tonnellate: un uomo di 68 anni, Claudio Bertini, muore, altre quattro persone restano ferite; l'anno dopo, il 9 marzo 2017, frana un ponte sulla A14 nei pressi di Ancona: questa volta perdono la vita due coniugi. Poi c'è la catastrofe del Morandi, con i suoi numeri spaventosi: 43 vittime e 566 sfollati. Peggio che in guerra.

Ogni volta si grida allo scandalo e si versano lacrime amare, ma sono lacrime di coccodrillo. Se solo usciamo dalle strade e autostrade, troviamo altri episodi che ci lasciano sgomenti. E dove la mancata manutenzione spiega l'orrore: ecco la tragedia del Mottarone, la funivia che in una domenica di festa si schianta a terra, seminando morte e distruzione. Quattordici croci che esigono giustizia le prime risposte che arrivano dai periti fanno alzare l'asticella dell'indignazione: la fune si è spezzata perché nessuno ha notato i segni del degrado, insomma, non c'erano stati i controlli di routine. E poi, come se non bastasse, erano stati introdotti i forchettoni, prassi scellerata, mettendo fuori gioco i freni e così la cabina è precipitata.

Ogni disastro ha la sua causa specifica ed è arduo generalizzare, ma il tema della revisione si impone: «È almeno dal 2005 che denunciamo il disimpegno dello Stato sul fronte della manutenzione delle opere pubbliche - spiega al Giornale Flavio Monosilio, direttore del centro studi dell'Ance - ma purtroppo questa tendenza perniciosa è andata avanti perché la priorità erano i bilanci e i risparmi». Ecco così le buche di Roma, che hanno provocato cadute e incidenti anche mortali, favorite pure da un'amministrazione non all'altezza del compito. «Dopo lo choc del Morandi - riprende Monosilio - qualcosa è cambiato. Basta vedere gli infiniti cantieri che punteggiano la nostra rete autostradale».

Anche per questo nel 2018 è stato creato l'Aniop, l'Archivio nazionale informatico delle opere pubbliche. E però questo catalogo, come documentato nel 2020 da Tgcom 24, è inaffidabile e incompleto. Insomma, la mappa dei rischi non si colora di rosso quando dovrebbe.

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