Le armi, e dopo le armi i soldi: ricchezza, benessere, futuro. Contro il terrorismo serve la crescita. Denaro che genera denaro, serenità economica che alimenta serenità sociale. Consumi, quindi altra ricchezza, ovvero l'uscita di più persone possibile dalla fascia della povertà.Non ce ne accorgiamo spesso, ma la coincidenza tra la crisi economica internazionale e l'avanzata del terrorismo è progressiva. E se uno ci pensa scopre una cosa semplice, in fondo. Ovvero che c'è una specie di postulato storico che il Novecento ci ha lasciato in eredità: nei periodi di crisi economica prolifera il terrorismo. Interno, esterno, domestico, internazionale, ideologico, religioso. Provate a mettere in fila gli ultimi 35 anni di movimenti terroristici: i Troubles in Irlanda del Nord hanno avuto la loro massima esplosione tra il 1969 e la metà degli anni Ottanta, in perfetta coincidenza temporale con un momento economicamente terribile per la Gran Bretagna. La crisi petrolifera e le sue conseguenze sull'economia britannica con una recessione e continua che i governi laburisti di Wilson e Callaghan non seppero arginare crearono un'insoddisfazione generalizzata, un tasso di disoccupazione inaccettabile, tensioni sociali continue. La situazione perfetta per alimentare la forza dell'indipendentismo violento.Stesso discorso per l'Eta, la cui attività terroristica è coincisa con tutto un periodo in cui la Spagna era il pezzo economicamente più arretrato d'Europa. Caso vuole che il boom economico iberico degli anni tra il 1996 e il 2004 con una crescita del 3 per cento del Pil annuo abbia progressivamente spento la forza dell'Eta, fino ad arrivare al completo abbandono della lotta armata nel 2011. Anche le Brigate rosse o il terrorismo nero italiano si sono sviluppati in un momento di congiuntura economica negativa: c'erano durante il miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta? No. C'erano nel decennio peggiore del Dopoguerra, ovvero gli anni Settanta? Sì. Anche da noi, i conflitti sociali, la crisi, la recessione hanno coinciso con la crescita di gruppi armati, di tensione generalizzata. Alla paura generata dal terrorismo si aggiungeva l'impossibilità di avere una vita normale determinata dalla crisi: meno consumi, meno ricchezza, più terreno fertile per il fanatismo. Anche il decennio del terrorismo islamico internazionale è influenzato da un ciclo economico complessivamente negativo. Qui forse è arrivato prima il terrorismo e poi la crisi, ma poi la crisi ha alimentato il terrorismo. Nel 2011, in occasione del decimo anniversario degli attacchi a New York, il Sole 24 ore ha fatto un'inchiesta a puntate muovendosi tra le origini della crisi e l'avanzata del terrore: «I costi macroeconomici di quell'attacco, principalmente una politica monetaria e fiscale che girano a vuoto, oggi non sembrano avere soluzione. Non che Bin Laden lo avesse previsto, ma lo aveva intuito. Dalle fonti di intelligence, dai messaggi diretti e da intercettazioni di Osama, emerse chiaro il suo disegno: trascinare l'America in un conflitto con il mondo islamico che avrebbe perduto; dare vigore all'idea di un nuovo califfato e stremare l'America economicamente. Dieci anni dopo il califfato non c'è, sulle guerre è presto per giudicare, ma l'obiettivo di un affossamento economico è quello che ha dato maggiori risultati». Altri cinque anni dopo la novità è che il califfato alla fine c'è. Così come c'è ancora la crisi. Non più in America, quanto in Europa. E, coincidenza nella coincidenza, oggi il teatro del conflitto terroristico è proprio l'Europa. Il continente della paura, che è il sentimento che congiunge tutto: crisi e terrorismo, appunto. Perché la paura è ciclica: è causa ed effetto. Ciò che spinge i comportamenti estremi e poi blocca tutto: consumi e voglia di normalità.Non se ne esce, forse. Eppure i governi europei, nazionali e sovrannazionali, che ancora oggi impongono austerità a ogni costo, una cosa dovrebbero pensarla: che i limiti autoimposti alla crescita con il rigore rendono più difficile tutto. Compresa la lotta al terrore. Se gli investimenti pubblici sulle infrastrutture fossero alleggeriti dalla tenaglia del rapporto deficit/Pil, se i governi fossero più liberi di allentare il peso del Fisco per favorire la ripresa, si darebbero risorse per capitoli di spesa necessari contro il terrorismo: difesa, sicurezza, sviluppo delle infrastrutture.
Senza contare che l'aumento dei consumi creerebbe un effetto positivo sulla psicologia dei comportamenti sociali ed economici. Più lavoro, più denaro, più ricchezza. La dimostrazione evidente della superiorità del capitalismo e della democrazia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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