"Vi dico cosa c'è dietro il 'ciukinismo'. Ma attenti a non gratificare il bullo"

Il ciukinismo è una forma di cyberbullismo oggetto di un’inchiesta in corso. Ma i fenomeni social possono fare paura: “I giovani vendono il corpo in cam per 10 euro”

"Vi dico cosa c'è dietro il 'ciukinismo'. Ma attenti a non gratificare il bullo"

Un nuovo fenomeno del Web o la variante di una deriva già esistente? La procura dei minori di Lecce è al momento al lavoro su un’inchiesta che coinvolge adolescenti minorenni e altri appena maggiorenni. I media parlano di ciukinismo, ma non esiste un reato con questo nome: in una chat di Telegram denominata “Le Tr*iette di Instagram” sono apparse delle foto di giovanissime adolescenti ignare, con i loro dati sensibili e corredate di minacce e insulti. Il “capo” di questa chat aveva il nickname di Ciukino, da cui ciukinismo. “Gli adolescenti creano un mondo alternativo, ma non possiamo permettere una deriva violenta”, dice a IlGiornale.it Luigi De Gregorio, counselor, riabilitatore nelle dipendenze e conduttore di progetti contro bullismo e violenza di genere nelle scuole medie e medie superiori.

È corretto parlare di ciukinismo o si tratta di una forma di cyberbullismo?

"Quello cui i media hanno dato il nome di ciukinismo si iscrive nella cornice del cyberbullismo. Capisco la necessità mediatica di dare un nome alle cose, ma chiamarlo ciukinismo potrebbe risultare addirittura deleterio, perché il Ciukino potrebbe sentirsi gratificato da questo. Se parliamo di una personalità problematica è una considerazione da fare. All’origine di questi fenomeni ci sono molto spesso dei disturbi del comportamento, tuttavia ci potrebbe essere anche emulazione verso modelli di riferimento che vengono proposti dai media, non solo Internet ma anche ciò che passa in tv. E non dobbiamo sottovalutare la mancanza di comunicazione tra giovani e adulti".

Cosa scatta nella mente di un adolescente che commette questo tipo di atti?

"L’adolescente, che per definizione è oppositivo, vuole provare i propri limiti. Dal punto di vista psicologico, più si va in un mondo sommerso, meno ostacoli si trovano: in altre parole, nel mondo sommerso l'adolescente trova molta più coerenza con fantasie e manie, si trovano persone simili anche nei comportamenti devianti. In una società organizzata invece ci si deve contenere, ci si deve attenere alle regole. Inoltre una delle necessità dell’adolescente è quella di essere riconosciuto in quanto individuo, in quanto diverso. Noi adulti tendiamo a non considerare i giovani come individui: questo processo deve partire anche e soprattutto dai genitori".

Cos’è il mondo sommerso?

"È quello che non appartiene a noi adulti ma appartiene ai giovani. Noi ci muoviamo in un mondo riconoscibile, regolato da una serie di paradigmi e norme. Gli adolescenti hanno bisogno di spazio, creano un mondo alternativo e dobbiamo farcene una ragione: il mondo non è nostro, ma sarà uguale a quello che loro ritengono giusto. Per questo non possiamo permettere una deriva violenta, ma al tempo stesso non possiamo costringerli in un modo di vivere che è nostro e non loro. È una vecchia solfa, trita e ritrita: non significa che dobbiamo lasciare campo libero ai ragazzi, ma cercare di capirli, parlare il loro linguaggio. Per me il punto di partenza è sempre nella comunicazione".

Che distanza c'è oggi tra le generazioni?

"Si deve partire dall’idea che il mondo che conoscevamo è completamente cambiato con Internet, quello strumento al quale io adulto mi sono abituato, ma con il quale loro sono nati. Internet, i social network, le chat di incontri mi interessano da diversi punti di vista: ho analizzato, per esempio, le chat di incontri e ho notato che le persone non sanno più comunicare, corteggiare, sedurre. È come sfogliare dei cataloghi, l’intera umanità è diventata un catalogo: si cerca la pagina con più appeal e ci si butta dentro. C’è una distanza enorme tra giovani e adulti oggi, una distanza che possiamo colmare solo andando noi nel loro mondo, aprendoci alle proposte dei giovani, trovando una lingua comune. Inoltre gli adolescenti sono più forti, conoscono cose che noi non conosciamo. Noi adulti siamo cristallizzati in una forma che ci siamo dati, ma quando eravamo adolescenti ci sentivamo ugualmente lontani dai nostri genitori. Prima forse era più un discorso politico, come nel ’68-‘77, ora è maggiormente esistenziale. Possiamo provare ad arginare il danno nei ragazzi rinunciando alle nostre sicurezze, trovando un punto di incontro in modo che non vadano altrove a cercare delle proposte appetibili. Siamo noi che abbiamo la necessità di decostruirci. Ricordiamo sempre: i genitori non possono essere amici dei figli, perché altrimenti questi ultimi non li riconosceranno come guida. Si può essere però amicali, cioè comunicativi: c’è una grossa differenza. Smettiamo di guardare i giovani come vengono guardati da tutti, dimentichiamo il problema, altrimenti il rischio è di creare un’identità tra il giovane e la sua devianza".

Può capitare che dei maggiorenni sfruttino la situazione per ingrossare le fila della pornografia minorile?

"Assolutamente sì. Io credo che come in tutti gli ambienti ci siano i lupi. Il ragazzino potrebbe non sapere cosa può succedere in seguito a tali comportamenti, è affascinato da determinati atteggiamenti. Le spacconerie in chat, ad esempio, sono tutte parole del cyberbullo che, non avendo un mondo adulto sano di riferimento, trova sponda in qualcuno che alimenta il fenomeno gratificandolo. Una delle altre derive di questa gratificazione porta alcuni giovani a vendere il proprio corpo in cam per 10 euro: è lì che si può insinuarsi il pedofilo o il pornografo minorile".

Ciukinismo
Luigi De Gregorio durante un convegno sul bullismo

Cosa si può fare per tutelare i minori vicini a ognuno, come figli, nipoti?

"È l’argomento più complicato. Dobbiamo ascoltarli, accompagnarli e avere un atteggiamento pedagogico. Purtroppo oggi la pedagogia è diventata in molti casi un modo per indicare, ma invece si deve accompagnare la persona verso se stessa. Smettiamo di pensare che gli adolescenti debbano diventare ciò che noi ci aspettiamo che diventino. Devono sentirsi liberi: possiamo lasciare una traccia, ma il sentiero di nostro figlio sarà il suo. E dobbiamo anche smettere di piazzarli di fronte alle piattaforme digitali fin da bambini. Inoltre la mia idea è che non si debba evitare la conflittualità. Ma la conflittualità deve essere sana, per costruire insieme confrontandosi. La conflittualità non deve essere mirata allo scontro fine a sé, alla prevaricazione. È necessario recuperare il rapporto con i bambini ripescando dentro noi stessi il bambino che siamo stati, utilizzandolo come interprete".

In alcuni Paesi, dopo questi reati, è prevista una riabilitazione tramite volontariato.

"Indirizzare i giovani al volontariato può funzionare sicuramente meglio di una punizione. Ma si deve portare il giovane a fare un percorso in cui vengono annullate le distanze: l’ideale sarebbe portare il cyberbullo a toccare con mano le conseguenze dei suoi gesti. Perché alcune vittime del cyberbullismo hanno sviluppato problematiche psichiatriche. Si può inoltre lavorare sulle emozioni: il dolore è dolore per tutti, non importa da dove arrivi, così come la gioia, l’amore, la paura.

Sul piano razionale possiamo non incontrarci nell’immediato, ma un percorso correttivo in cui si va a toccare con mano il dolore costato agli altri può funzionare. Occorrono sanzioni educative, non punitive, oltretutto Basaglia si rivolterebbe nella tomba".

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