SuperMario parte "Mettiamo l'Italia in sicurezza"

"Presidente, le bandiere". Nella fretta SuperMario le ha saltate, così adesso il comandante del picchetto militare deve inseguirlo nel cortile e riportarlo indietro, per un breve inchino al tricolore e al vessillo europeo: toppato il primo red carpet, pazienza, sarà l'emozione.

SuperMario parte "Mettiamo l'Italia in sicurezza"

«Presidente, le bandiere». Nella fretta SuperMario le ha saltate, così adesso il comandante del picchetto militare deve inseguirlo nel cortile e riportarlo indietro, per un breve inchino al tricolore e al vessillo europeo: toppato il primo red carpet, pazienza, sarà l'emozione. «Presidente, la campanella»: ora si entra a Palazzo Chigi per il secondo rito, il passaggio delle consegne, e il premier ha l'aria perplessa, quasi sorpresa, quando Giuseppe Conte gli consegna il simbolo del potere. Drin. Scampanellata sobria, giusto un colpo secco con il polso per i fotografi: il suono si sente appena e si perde nel fragore dei flash. «Presidente, il consiglio». Ecco, il cerimoniale è finito, si comincia a fare sul serio. Draghi siede al centro del tavolone circolare e dà subito la linea: «Lasciamo a casa le convenienze personali e politiche e mettiamoci a lavorare. Dobbiamo salvare il Paese e farlo ripartire».

Alle due di pomeriggio, come pomposamente scrive il New York Times, «il gigante d'Europa prende le redini dell'Italia». Il debutto è asciutto. Basso profilo, nessun annuncio, qualche idea chiara. La prima: i partiti sono essenziali in una democrazia, però al momento restino di fianco. Buoni, calmi. «Pur provenendo da storie e da esperienze diverse - spiega Draghi - dobbiamo darci da fare insieme per affrontare questa fase difficile. La nostra priorità è la messa in sicurezza del Paese perché gli interessi italiani vengono prima di quelli di parte. La missione che ci aspetta e importante, c'è in ballo il futuro della nazione». Per questo occorrono «compattezza» e «massima collaborazione». Un lavoro di squadra.

La seconda idea pure svela parecchio sul tipo di approccio ai problemi scelto dal premier. «Il nostro sarà un governo ambientalista». E non è, pare, soltanto uno slogan piacione, lo dimostra la scelta di creare un ministero della Transizione ecologica, affidato al professor Cingolani, mischiando il green con l'energia, lo sviluppo con la compatibilità. È uno schema che servirà per intercettare al meglio i miliardi del Recovery e rispondere così al mandato del capo dello Stato. Gli aiuti europei, sostiene Sergio Mattarella, rappresentano un'occasione irripetibile per rilanciare il Belpaese. Forse l'ultima carta per evitare il precipizio e ricostruire.

Si tratta insomma di riallineare l'Italia agli standard europei. Grandi opere, meno burocrazia, nuove tecnologie, scuola, formazione, questi i settori sui quali, al di là della lotta al Covid e del piano vaccini, SuperMario vuole incidere in fretta. Sarà un caso, ma anche la composizione stessa dell'esecutivo sembra riflettere la necessità di restare agganciati ai settori produttivi e all'Europa. Una compagine nordista. Su 23 ministri, nove sono lombardi, quattro veneti e due emiliani, ai quali si aggiungono un friulano, un piemontese e un ligure. E, scavando tra le delegazioni, si scopre che Draghi ha scelto i più europeisti e antisovranisti. I tre di Forza Italia, Carfagna, Gelmini e Brunetta. I tre della Lega, i non salviniani Giorgetti, Garavaglia e Stefani. Persino tra i grillini ha pescato dei moderati come Patuanelli e D'Incà.

Tutto ciò perché i politici devono fare da cuscinetto al nocciolo duro dell'esecutivo. Daniele Franco, Roberto Cingolani, Vittorio Colao, Enrico Giovannini, Cristina Messa, sono loro le pietre angolari del governo, quelli che si occuperanno dei dossier caldi. All'elenco si può aggiungere Marta Cartabia, indicata dal Quirinale: ma non è solo un nome di prestigio, ha presieduto la Corte Costituzionale, quindi si può pensare che il premier voglia avviare pure una riforma della giustizia. Quella civile, perché per quella penale non ci sono né tempi né condizioni. Però i processi lumaca, lo strapotere di tribunali e il protagonismo dei Tar nei concorsi pubblici sono tra i motivi principali della scarsa voglia di investire in Italia.

E infatti la prima grana per il premier viene proprio da un Tar, quello di Lecce, che ha dato sessanta giorni alla Arcelor Mittal per spegnere l'area a caldo dell'Ilva. Non sarà facile trovare l'equazione giusta tra lavoro e salute, che è un po' il senso della sfida sul Covid. Riaprire l'Italia, richiuderla? Per Draghi, l'ha detto chiaramente, è cruciale fare ripartire la scuola e recuperare i giorni persi.

Poi, i vaccini, altro tasto dolente. Troppi ritardi, troppe lentezze. Il presidente del Consiglio vuole mobilitare l'esercito e comprare le dosi direttamente dalle case farmaceutiche. Il piano è da rifare. Per il commissario Arcuri tira una brutta aria.

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