S e sei donna meriti un aiutino. Chiamatelo pure sessismo, quello più odioso, perché un insulto è un atto di maleducazione individuale, sindaco senza la «a» finale è tradizione cristallizzata nel linguaggio, una facoltà universitaria invece che introduce prove di esame differenziate tra maschi e femmine è un sonoro schiaffo a decenni di battaglie per la parità di genere. Dal prossimo anno accademico la facoltà di Storia dell'Università di Oxford sostituirà una delle cinque prove scritte con una mini tesi, un esame «da portare a casa» per cercare di ridurre il gender gap.
Il problema è presto detto: solo il 32 percento delle studentesse otterrebbe il livello massimo di voti finali (First class) contro, sentite bene, il 37 percento dei colleghi di sesso maschile. L'intollerabile divario - le femmine sotto di cinque punti - avrebbe persuaso i vertici accademici ad assumere una decisione senza precedenti. Al Daily mail un alto dirigente di Oxford ha spiegato: «Ci siamo accorti che gli studenti maschi sono più propensi a correre rischi, il che consente loro di superare meglio gli esami. Le studentesse invece sono tendenzialmente avverse al rischio e impiegano più tempo per riflettere su una singola risposta». Insomma, noi donne siamo timorose e insicure, perciò davanti a un quesito a risposta multipla ci lasciamo paralizzare dall'eventualità dell'errore.
Ora, lo stereotipo della donna emotiva è stato un cavallo di battaglia dei maschilisti intenti a limitare il perimetro professionale ed esistenziale del cosiddetto «sesso debole». Le donne non sono capaci di gestire lo stress, nei giorni del ciclo sono di umore mutevole, lunatiche, meglio tenerle lontane dai ruoli di comando. È venuto poi il progresso, le gonnelle oggi sono a capo di multinazionali fantasmagoriche, occupano i palazzi del potere, e come ogni essere umano talvolta eccellono, talaltra collezionano modeste figure. Nel mondo accademico le studentesse si mostrano mediamente più preparate dei colleghi, persino nelle materie scientifiche, in Italia ogni 100 uomini che si laureano ci sono 144 donne che fanno altrettanto. Eppure chi si sognerebbe di decretare con ciò l'inferiorità intellettuale del maschio? Solo un anacronistico fanatismo rosa potrebbe dedurre una tale idiozia.
Il libretto universitario non assicura di per sé il successo professionale. Il fatto è che la parità di genere, intesa come una tagliola aritmetica, fifty-fifty, ha prodotto un colossale fraintendimento. Siamo a disagio con la diversità, siamo incapaci di accettarla, ad eccezione di quella omosex che la dittatura del politicamente corretto ha eretto a dogma inviolabile. Ragionando per aggregati, maschi contro femmine, abbiamo perso di vista il singolo, a meno che non sia omosex.
Risultato? Se al corso di Storia a Oxford la sommatoria dei risultati più alti ottenuti dalle
donne segna un leggero svantaggio rispetto agli uomini ci riteniamo investiti del dovere morale di riequilibrare lo squilibrio, di colmare il gap fonte di suprema ingiustizia. È palese che siamo impazziti. Pazzi ma corretti.
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