Dopo l'estate, arriverà un autunno caldo sul fronte delle pensioni. Il sistema della previdenza sociale è un tema molto delicato per il governo e di fatto è una partita dura con diversi giocatori in campo, da Poletti ai sindacati, dall'Inps alle associazioni che difendono i diritti dei pensionati.
Età pensionabile
La prima grana che il governo dovrà affrontare riguarda l'innlazamento sull'età pensionabile. Di fatto nel 2019 l'uscita dovrebbe arrivare a 67 anni e non più a 66 anni e 7 mesi. Le proposte per uno stop all'innalzamento di questo limite sono state bocciate sia dalla Ragioneria di Stato che dalla stessa Inps. Boeri su questo punto è stato molto chiaro: "È pericolosissimo toccare il meccanismo che adegua l'età di pensionamento all'aspettativa di vita, perché può avere sia effetti in avanti che all'indietro", ricordando che guardando avanti ci sarebbe un "aggravio di spesa" che "noi stimiamo in 141 miliardi di euro". E su questo punto ha chiuso il dibattito il viceministro dell'Economia Enrico Morando che ha bocciato l’idea di utilizzare le risorse aggiuntive liberate dalla crescita del Pil per bloccare l’età per il pensionamento. "Sulla previdenza abbiamo varato un intervento molto significativo l’anno scorso", ha ricordato in un’intervista a Repubblica, "sarebbe un errore scegliere ora come priorità la previdenza rispetto all’occupazione giovanile: purtroppo le risorse per tutto non ci sono". L’idea di Morando è di concentrarsi "su pochi e qualificanti obiettivi con un intervento strutturale a favore dell’occupazione dei giovani, un maggiore finanziamento del reddito di inclusione attiva, lo strumento universale a favore delle famiglie che vivono in poverrà assoluta, e per far crescere gli investimenti pubblici".
Ape volontaria
Ma un altro fronte caldissimo sulle pensioni è quello dell'Ape volontaria. Di fatto, come anticipato da ilGiornale, a settembre dovrebbe essere attivo il decreto con un ritardo mostre di circa 6 mesi. Ma il successo dell'operazione per il momento resta un'incognita. E qui di fatto in governo dovrà fare i conti con le indicazioni del Consiglio di Stato che potrebbero indicare una retroattività del decreto che per chi aveva fatto domanda a maggio. In più il governo dovrà far fronte a tutti i conteziosi nati per i rispingimenti delle domande.
Il nodo della perequazione
Ma a preoccupare il governo c'è un altro aspetto che riguarda invece la perequazione degli assegni pensionistici. Il prossimo 24 ottobre, come ha ricordato il Sole 24 Ore, verranno discusse le questioni di costituzionalità delle regole sulla perequazione messe a punto dal governo Renzi con il decreto legge 65/2015 in risposta alla bocciatura delle norme precedenti. Una risposta quella del governo Renzi giunta dopo la sentenza della Consulta 70/2015. Il verdetto di ottobre di fatto potrebbe innescare nuova spesa previdenziale per le casse dello Stato. E questo per il governo è il fronte più pericoloso. Di fatto dopo la riforma Fornero venne bloccato parzialemte l'adeguamento all'inflazione per gli assegni pensionistici già in pagamento. E tra il 2012 e il 2013 vennero adeguati solo le pensioni fino a tre volte il minimo tenendo fuori quelle superiori. La Consulta ha dichiarato illegittimo il provvedimento. Conto salatissimo: 24 miliardi. E così il governo Renzi con un nuovo decreto ha introdotto per il 2012-2013 un adeguamento al 100% per gli assegni fino a 3 volte il minimo; del 40% tra 3 e 4 volte; del 20% tra 4 e 5; del 10% tra 5 e 6; nullo per importi oltre sei volte il minimo, come ricorda ilSole.
Ma chi è rimasto fuori ha immediatamente fatto ricorso e sono state poste questioni di legittimità costituzionale anche per il 2014-2018. Adesso il 24 ottobre scatta l'ora X e il governo potrebbe nuovamente trovarsi davanti ad un conto salato da pagare in tempi rapidi a milioni di pensionati.
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