"Non sopporto più gli schiaffi": la 'vedova nera' che semina morte

Milena Quaglini fu una serial killer italiana. Tre furono i delitti che lei stessa confessò di aver compiuto, per "punire gli uomini violenti" che la avevano vessata negli anni

"Non sopporto più gli schiaffi": la 'vedova nera' che semina morte

"Non sopporto chi mi usa violenza, così punisco i maschi violenti uccidendoli". Milena Quaglini, giudicata colpevole di tre omicidi tra il 1995 e il 1999, aveva spiegato così agli investigatori il motivo che l'aveva spinta a uccidere. Tre vittime, tutti uomini che, a detta della killer seriale, le avevano fatto del male. "Può essere definita una vedova nera - ha dichiarato al Giornale.it il criminologo Ruben De Luca, che da più di 20 anni si occupa di serial killer - anche se le vittime non erano tutti mariti".

Gli uomini violenti nella vita di Milena Quaglini

Nata nel 1957 a Mezzanino, in provincia di Pavia, fin dall'infanzia Milena Quaglini ha dovuto fare i conti con abusi, violenze e botte. Secondo quanto riferito da lei stessa infatti, il padre era un uomo alcolizzato che picchiava regolarmente sia la moglie che le figlie. Per questo, una volta compiuti i 19 anni, Milena scappò di casa, per andare a vivere tra Como e Lodi, dove fece lavori saltuari. Qui conobbe il suo primo marito, dal quale ebbe un figlio (Dario): "È stato l'unico periodo felice della mia vita", dirà poi la donna riferendosi a questo arco di tempo. L'uomo però si ammalò di diabete e morì qualche anno dopo, lasciandola sola col figlio e facendola precipitare in una depressione che sfociò nella dipendenza da alcol.

Dopo la morte del marito Milena si trasferì a Travacò Siccomario, dove trovò lavoro e conobbe Mario Fogli, operaio sulla cinquantina, che sposò in seconde nozze. Poco dopo però Fogli si rivelò una persona violenta e la vita insieme fu caratterizzata da liti, insulti e botte, che coinvolsero Milena e il figlio Dario. L'uomo inoltre si dimostrò geloso fino all'ossessione, tanto da costringere la moglie a lasciare il lavoro, convinto che una donna lavoratrice prima o poi avrebbe tradito il marito. Nonostante le prevaricazioni, Milena rimase legata a Fogli e nacquero due bambine, ma le cose non migliorarono e la Quaglini si rifugiò nella pittura e nell'alcol e iniziò a prendere antidepressivi.

Quando gli ufficiali giudiziari si presentarono a casa della coppia per pignorare i beni a causa dei debiti di Fogli, Milena decise di andarsene e si trasferì a Este, in provincia di Padova, dove trovò lavoro come portinaia in una palestra. Era il 1995. I soldi però non bastavano e la Quaglini venne assunta anche come badante da un signore anziano, l'83enne Giusto Dalla Pozza. Stando alle dichiarazioni della donna però l'uomo le avrebbe prestato 4 milioni di lire, salvo poi chiederle indietro 500mila lire al mese o un pagamento in natura. Di fronte al suo rifiuto, Dalla Pozza avrebbe tentato di violentarla.

A quel punto, Milena Quaglini tornò dal marito. Ma la situazione non accennava a migliorare e una sera del 1998, la donna uccise Mario Fogli, autodenunciandosi poi ai carabinieri. I giudici le accordarono gli arresti domiciliari in una comunità di recupero, dalla quale però venne espulsa quasi subito perché non seguiva le regole. Allora la donna trovò una stanza in affitto in cambio di lavori domestici a casa di Angelo Porrello, a Bascapè in provincia di Pavia. Secondo le dichiarazioni fornite da Milena, un giorno Porrello, che aveva precedenti penali per violenza su minori, le avrebbe chiesto di vestirsi in modo provocante e di seguirlo in camera e di fronte al suo rifiuto l'avrebbe violentata per due volte.

"Non ne potevo più di essere picchiata - rivelerà poi la donna - A ogni schiaffo che prendevo da un uomo, rivivevo tutti quelli presi da mio padre. Perché io sopportavo, sopportavo, sopportavo, finché non mi facevano qualcosa d'intollerabile che mi faceva esplodere; e allora, quando mi scattava quella reazione dentro, mi veniva una forza tremenda, incontrollabile. E non riuscivo a fermarmi, fino a quando non respiravano più".

I tre delitti

Era il 2 agosto del 1998 quando, intorno alle 16, arrivò una chiamata alla centrale dei carabinieri di Stradella. All'altro capo del filo, una donna: "Ho ammazzato mio marito", disse. La voce era quella di Milena Quaglini: la sera prima, dopo l'ennesimo litigio, Milena aveva aspettato che Mario Fogli andasse a dormire e, dopo aver messo a letto le bambine, gli aveva legato mani e piedi. Poi aveva preso una corda per cercare di strangolarlo, ma il marito, svegliatosi, aveva provato a ribellarsi. Per questo, la donna lo aveva colpito alla testa, prima con una lampada da comodino e poi con un cofanetto di legno, fino a stordirlo. Infine Milena lo strangolò con la corda della tapparella. Una volta ucciso il marito, la Quaglini avvolse il cadavere in un tappeto e lo trasportò sul balcone. Fu questo il primo omicidio attribuito a Milena Quaglini.

La donna venne condannata, ma le furono concessi gli arresti domiciliari in una comunità di recupero per alcolisti, dalla quale però venne espulsa poco dopo. Per questo, Milena cercò un'altra sistemazione e trovò ospitalità da Angelo Porrello, in cambio dello svolgimento di lavori domestici. Ma il 5 ottobre del 1999 Porrello scomparve e il suo corpo venne ritrovato giorni dopo nella concimaia del giardino vicino a casa sua. Nel frattempo la Quaglini era stata condotta in carcere, perché sorpresa fuori dalla casa in cui doveva scontare i domiciliari. A casa di Porrello però i carabinieri trovano due lettere spedite da Milena, che chiedeva notizie dell'uomo, e una confezione dei calmanti usati dalla donna, oltre a peli e capelli. Dopo alcuni giorni nel carcere di Vigevano, Milena Quaglini confessò l'omicidio, raccontando delle violenze subite: stando a quanto riferito, Angelo l'avrebbe violentata per due volte ma, prima di subire il terzo stupro, Milena sarebbe riuscita a convincerlo a prendere un caffè, nel quale sciolse dei tranquillanti, che lo stordirono. In seguito riempì la vasca d'acqua e vi portò l'uomo, per poi trasferirlo nella concimaia dove venne ritrovato due settimane dopo.

Nel passato di Milena Quaglini c'era però un altro episodio rimasto sconosciuto agli inquirenti, che emerse poco dopo la confessione del secondo delitto. Nel 1995 la donna era stata per qualche tempo la donna delle pulizie di Giusto Dalla Pozza, un'ottantenne che venne trovato morto il 27 ottobre dello stesso anno. A rinvenire il cadavere era stata proprio Milena, che rincasando si era accorta del corpo del Dalla Pozza. Ma qualche giorno dopo la scoperta del delitto Porrello, la Quaglini confessò anche il suo terzo omicidio (il primo in linea temporale): dopo aver preteso da Milena un pagamento in natura per il prestito di 4 milioni di lire, l'uomo avrebbe cercato di violentarla, trovando l'opposizione della donna, che lo colpì alla testa con una lampada. Il Dalla Pozza cadde a terra e morì qualche giorno dopo in ospedale, dopo che la sua stessa assassina aveva chiamato i soccorsi, fingendo di averlo trovato agonizzante al suo rientro a casa.

Nel carcere di Vigevano, Milena Quaglini venne sottoposta a diverse perizie psicologiche. La prima accertò che al momento dei delitti la donna fosse incapace di intendere e di volere, mentre la seconda riconobbe un vizio parziale di mente. Così il 13 ottobre 2000, quando si concluse il processo d'appello per l'omicidio di Mario Frigerio, i giudici dimezzarono la condanna a 6 anni e 8 mesi di carcere. L'anno dopo, il 2 febbraio 2001, la Corte d'Assise di Pavia la condannò a eccesso colposo di legittima difesa per la morte di Giusto Dalla Pozza e le impose una pena di 1 anno e 8 mesi. Ma una terza perizia psichiatrica ribaltò le carte: in occasione del processo per l'omicidio di Angelo Porrello, il 9 maggio 2001, Milena venne riconosciuta in grado di intendere e di volere al momento del delitto, tanto da aver agito con lucidità anche nei momenti successivi, quando cercò di costruirsi un alibi, facendosi arrestare e scrivendo le lettere che i carabinieri trovarono a casa di Porrello. Per quest'ultimo delitto, Milena avrebbe dovuto presentarsi in aula il 24 ottobre 2001, ma il processo non avrà mai inizio.

La "vedova nera" vendicatrice

Ai tempi, i mass media avevano soprannominato Milena Quaglini "la vendicatrice del Nord Italia" e "il soprannome era calzante - ha spiegato il criminologo ed esperto di serial killer Ruben De Luca - perché la sua storia è quella tipica di donne che vengono vittimizzate e nel suo caso, invece di continuare a subire, decide di vendicarsi". In questo senso, assume un significato particolare una frase che viene attribuita alla Quaglini: "Quando venne arrestata disse: 'Non sopporto chi mi usa violenza, così punisco i maschi violenti uccidendoli'". La serial killer vendicatrice "può essere definita una vedova nera, anche se le sue vittime non furono tutti mariti o amanti". Secondo la tipica classificazione delle donne serial killer, la vedova nera è un'assassina che uccide persone a cui è sentimentalmente legata, come mariti e amanti, e solitamente "c'è una forte conoscenza pregressa con le vittime". Per questo motivo "molti studiosi non consideravano le donne come serial killer, perché venivano considerati tali solo i casi in cui non c'era un rapporto di conoscenza con le vittime e le donne uccidono nella maggior parte dei casi persone conosciute".

Milena utilizza un modus operandi che si evolve nel tempo, ma in sostanza "c'è una continuità, perché è il modo in cui una persona si trova bene a uccidere". Inizialmente, la dark lady colpisce il Della Pozza alla testa, usando una lampada, e poi scappa senza spostare o nascondere il cadavere: nessuna premeditazione, ma una certa organizzazione sembra comunque presente, dato che torna sulla scena del crimine fingendo di scoprire causalmente il cadavere. Nel secondo delitto invece sembra che il metodo sia stato perfezionato: la vittima viene prima stordita e poi uccisa e successivamente, il corpo viene momentaneamente occultato prima della confessione. Infine, dopo aver compiuto il terzo omicidio, Milena arriva a spostare il corpo nel tentativo di occultarlo e a crearsi un alibi per il delitto, facendosi arrestare il giorno dopo. Nessuna firma particolare, lasciata come riconoscimento, invece. "Ma questo non è un elemento presente in tutti i serial killer - spiega De Luca - anzi nemmeno nella maggior parte. Tutti i film e le serie televisive parlano della firma (perché gli sceneggiatori devono creare delle trame interessanti dove sia immediatamente riconoscibile che uno stesso assassino è l'autore di tutti i crimini), ma non sempre è così. Nel caso di Milena Quaglini, come nella maggior parte delle donne, non c'è nessun tipo di firma".

La scia della vedova nera si interrompe nel 2001. Il 24 ottobre è previsto l'inizio del processo per la morte di Angelo Porrello ma qualche giorno prima, martedì 16 ottobre, Milena si suicida. La donna aveva formato un cappio con le lenzuola: quando la sorvegliante la vede, nella sua cella del carcere, si accorge che respira ancora e la Quaglini viene portata in ospedale, ma muore qualche ora dopo. "È possibile che la Quaglini soffrisse di depressione - commenta il criminologo De Luca - prendesse psicofarmaci e sostanze alcoliche.

La donna aveva alle spalle un passato di violenze ed è possibile che, quando venne arrestata, la depressione l'abbia spinta al suicidio". Si conclude così la vita di violenze di Milena Quaglini, una delle poche serial killer donne italiane, che uccideva gli uomini per vendicarsi degli abusi subiti.

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