I Ris sono i primi a giungere sulla scena del crimine. Sono lì, dopo il rinvenimento di un cadavere, con addosso la necessaria tuta bianca, intenti a raccogliere ogni elemento utile a fornire la chiave risolutiva di una morte avvenuta in circostanze misteriose. Appartengono al Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma dei carabinieri, che si compone di quattro sezioni. A ognuna una specifica attività investigativa di carattere tecno-scientifico.
Professionisti altamente specializzati, i membri del Ris si avvalgono di strumenti specifici che, uniti alla registrazione delle immagini e ai rilievi eseguiti sul luogo del delitto, forniscono la risposta alle domande sul come, dove, perché, quando e, soprattutto, su chi ha commesso l'azione criminosa. Ma come operano nello specifico questi professionisti? "È necessario creare una corazza che ti protegga dagli aspetti più duri di questa professione ma, al tempo stesso, non bisogna diventare insensibili", dice a IlGiornale.it il Maggiore Luca Gasparollo del RaCis (Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche). Gasparollo, che guida la sezione Intervento Operativo del Ris di Roma, ci racconta alcuni aspetti del suo mestiere.
Andiamo per gradi. Si entra nella scena del delitto in tuta bianca e mascherina. Perché?
"L’impiego dei dispositivi di protezione individuale sulla scena del crimine ha una duplice funzione. Per prima cosa protegge la scena del crimine dall’operatore, abbattendo o comunque limitando fortemente il rischio di contaminazioni. In secondo luogo protegge l’operatore dalla scena del crimine, riducendo la probabilità che lo stesso entri in contatto con sostanze tossiche o potenzialmente infettive".
Quali sono le prime operazioni effettuate e con quale obiettivo?
"Le prime operazioni, i rilievi sulla scena del crimine, sono volte alla ricerca di elementi che attestino la presenza sulla scena dei soggetti coinvolti a vario titolo nel fatto delittuoso (rei e/o vittime) e che possano poi portare all’identificazione degli stessi, nonché alla ricerca di elementi che possano contribuire alla ricostruzione della dinamica del delitto. La ricerca non è indiscriminata ma è condotta a conferma e/o confutazione di una o più ipotesi investigative. L’investigatore deve mantenere un’apertura mentale che gli consenta di vagliare ipotesi alternative ed eventualmente modificare la teoria iniziale in seguito agli elementi che dovessero emergere, senza alcun preconcetto. I reperti e le tracce raccolti devono poter essere correlati all’evento. A esempio, in seguito a una rapina in un esercizio commerciale, l’interesse investigativo non risiede soltanto nel dimostrare la presenza di un soggetto sulla scena (numerosi altri soggetti estranei all’evento potrebbero essere stati presenti sul posto lo stesso giorno) ma nel poter collegare questa presenza all’evento delittuoso, contestualizzandola".
Dalla scena del crimine ai laboratori: come procedono le investigazioni e di quali strumenti vi avvalete?
"L’accertamento di laboratorio costituisce il tassello fondamentale di molte indagini, in quanto permette di caratterizzare gli elementi e le tracce raccolte sulla scena del crimine. Diversamente a quanto avviene per l’investigatore sulla scena del crimine, la cui attività comporta necessariamente delle scelte ed è indirizzata da ipotesi investigative, l’analista di laboratorio si muove in un ambito maggiormente oggettivo e l’esito analitico, pur potendole supportare o confutare, è indipendente dall’ipotesi accusatoria o da quella difensiva. Accertamenti balistici, biologici, dattiloscopici, chimici, merceologici e di microscopia elettronica, grafici, fonici o di audiovisivi (tutti effettuati nei RIS) offrono un ampio ausilio per le indagini".
Quanto incide il lavoro dei Ris per l'avvio di un processo?
"In alcuni casi il lavoro del RIS fornisce il riscontro delle investigazioni tradizionali. In altri l’elemento scientifico è l’unico disponibile e il lavoro del RIS diventa imprescindibile per l’avvio del processo".
Lei ha a che fare anche con crimini efferati, è possibile abituarsi a una certa crudeltà?
"Avere a che fare con crimini efferati è paragonabile all’attività del medico del pronto soccorso. È necessario creare una corazza che ti protegga dagli aspetti più duri di questa professione ma, al tempo stesso, non bisogna diventare insensibili o perdere l’empatia. Ci si può abituare alla vista del sangue o di un cadavere ma non ci si dovrebbe mai abituare alla crudeltà".
Ci può raccontare cosa la colpisce nei casi con i quali si confronta in questo lavoro ?
“Una cosa che colpisce è l’assoluta banalità del male. Nella maggior parte dei crimini efferati non si ha a che fare con serial killer o geni del crimine, spesso nemmeno con persone cattive. È il vicino di casa, la persona che si incontra ogni giorno per strada, la persona che ‘non l’avrei mai detto’. Impressiona vedere a cosa possano arrivare quando perdono il controllo, oppure per coprire le proprie tracce, o quanto possano essere banali i moventi dietro il loro gesto. Colpisce entrare nelle loro case e scoprire la solitudine o il degrado o la sporcizia. Queste sono cose a cui non ci si abitua”.
Ci sono diversi telefilm dedicati al suo lavoro. Quanto si sente rappresentato? C'è qualcosa che chiederebbe di cambiare?
"I vari telefilm seguono esigenze di spettacolo e non ci rappresentano assolutamente. In primis non conduciamo noi le indagini ma forniamo supporto all’Autorità Giudiziaria e alla Polizia Giudiziaria operante. Non inseguiamo nessuno, tantomeno mettiamo le manette a qualcuno.
E poi quei macchinari fantascientifici in cui inserisci un campione e dopo pochi minuti hai tutte, ma proprio tutte, le informazioni su un soggetto. Cambiare qualcosa non credo, in fondo sono opere di finzione. Però quei macchinari ci farebbero comodo".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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