Voto di scambio a Cinque stelle (a carico nostro)

Voto di scambio a Cinque stelle (a carico nostro)

Tu mi voti e io poi ti regalo uno stipendio. Come definireste questa trattativa? Voto di scambio? Ebbene sì. Chiamiamo le cose con il proprio nome. Senza giri di parole. Il reddito di cittadinanza promesso dai Cinque Stelle in campagna elettorale che cos'è se non un gigantesco voto di scambio su scala nazionale? A chi nutrisse ancora qualche dubbio ora forniamo le prove. Perché se c'è qualcuno che promette, per forza di cose ci deve essere anche qualcun altro che questa promessa pretende che sia esaudita. E questo qualcun altro (le cronache ci raccontano di drappelli di persone) ieri si è presentato ai Caf di Bari e di Palermo e di altre città del Sud richiedendo i moduli per il reddito di cittadinanza.

Tutti in coda, com'era logico: battono cassa, chiedono il grano. Vogliono riscuotere l'assegno che Di Maio ha sventolato per tutta la campagna elettorale, come si sventola una carota davanti all'asino. Hanno fatto la loro parte e ora si aspettano la controparte. Giustamente. Hanno messo la X su una scheda elettorale che prometteva di essere il biglietto vincente della lotteria. Hanno imbucato nell'urna il sogno nascosto di una vita: incassare uno stipendio senza muovere un dito. E ora si sono svegliati. Piuttosto arrabbiati.

E se ogni promessa è debito, adesso il povero Di Maio è moroso e deve sganciare quindici miliardi di euro, tale è la cifra astronomica che costerebbe questa maxi elargizione. O, a essere un po' cattivi, è il prezzo dello strepitoso successo elettorale dei pentastellati. Prezzo che, nel caso l'operazione dovesse andare in porto, verrebbe addebitato sui già disastrati conti dello Stato. Ma questo è un altro discorso.

Eppure nessuno ha battuto ciglio. Nessuno ha puntato il dito su una compravendita talmente palese da fare impallidire il povero Achille Lauro, che si limitava a distribuire pacchi di pasta e scarpe spaiate durante i suoi comizi. Per non parlare del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che offrì fritture di pesce in cambio di un sì al referendum (e a giudicare dai risultati deve essersi rivolto a una folla di vegani). E per questo scambio alimentare finì pure alla sbarra per poi essere, ovviamente, assolto.

Certo, la

campagna elettorale è costruita su sogni, suggestioni e promesse. Anche esagerate. Ma non irrealistiche. Non balle. Aiutare gli italiani che sono rimasti indietro è doveroso. Rispettarli anche. Prenderli in giro è da carogne.

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