Il vuoto che lascia Guccione

Il vuoto che lascia Guccione

Il Giornale ha fatto la sua parte con una pagina, mentre i grandi quotidiani nazionali hanno risposto in modo inadeguato alla morte di Piero Guccione, con pigrizia e indifferenza. L'assenza di senso della misura è evidenziata dalla concomitante attenzione per la provocatoria performance di Banksy, che ha dimostrato la coincidenza tra l'arte del nostro tempo e il nulla. Una intuizione intelligente ma, letteralmente, consumistica; ed estranea ai valori dell'uomo che Guccione ha consacrato, lui non credente, nella religione della pittura, come estrema e assoluta testimonianza. I capricci e i divertimenti, legittimati dalle avanguardie storiche, sono espressioni di decadenza, ovvero, letteralmente, di nichilismo. L'opera di Guccione è un inno al Dio nell'uomo, all'immanenza dello spirito. E quando muore un grande artista il mondo si ferma, per un attimo. Forse, sorprendentemente, è questo che ha voluto dire il pensiero distruttivo di Banksy. Una coincidenza: la sospensione dell'arte, l'incredulità, il vuoto improvviso.

E l'amarezza di chi, come Giuseppe Iannaccone, con la medesima delusione per la distrazione dei mezzi di informazione, affida la sua emozione all'unico necrologio apparso sul Corriere della Sera, voce solitaria: «Ho perso Piero Guccione, uomo buono, generoso, disinteressato ai valori terreni, ho perso un grande amico al quale mi legava un profondo e reciproco affetto. Mi mancherà moltissimo, ma il Paese non ha perso il grande artista, perché la sua poesia resterà immortale nella storia della nostra cultura».

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