Crozza lo imita, Veltroni s’infuria

Il sindaco di Roma a Ballarò non ride alle battute del comico, poi replica stizzito: "Se mi ci riconosco? Ma manco per niente"

Crozza lo imita, Veltroni s’infuria

Roma - Maurizio Crozza lo imita, e Walter Veltroni ci resta male, folgorato da primi piani impietosi di Ballarò. O almeno così sembra, guardando alla moviola la puntata di martedì sera, in cui si è rivelato platealmente uno dei pochi talloni d’Achille noti del nuovo leader del Pd: uno scarsissimo senso dell’autoironia quando viene motteggiato in pubblico.
Una prima avvisaglia, ad essere filologici, c’era già stata alla festa di Azione Giovani (settembre scorso, a Roma) quando i ragazzi di An gli avevano preparato la domanda trabocchetto posta da un militante così: «Cosa ha fatto lei, in concreto, per la Borgata Pinarelli?». Veltroni aveva iniziato a rispondere tenendosi sul vago, ma dilungandosi assai sul «risanamento delle periferie intrapreso dall’amministrazione». Finché Giorgia Meloni, leader di Ag che conduceva il dibattito, lo aveva fermato: «Sindaco, ci scuserai, ma è uno scherzo: la borgata Pinarelli esiste solo nei film di Tomas Milian!». Risate corali, espressione interdetta di Veltroni. Fin qui nulla di strano: i goliardi di Ag avevano «pizzicato» anche Silvio Berlusconi (con un finto dittatore Pai Mei tratto da Kill Bill), e Gianfranco Fini, con un inesistente profugo della minoranza cattolica «kazara» (inventato di sana pianta) che chiedeva aiuto all’allora ministro degli Esteri. Senonché Veltroni, invece di prenderla con la stessa ironia di Fini («siete dei kazzari con due zeta»!) aveva iniziato ad arrampicarsi sugli specchi: «Ma io non stavo rispondendo a lui... ». E poi: «Conosco più borgate io che molti altri messi insieme». E ancora: «Sono stato alla Borgata Cerquette Grandi, che tu forse non sai nemmeno dov’è!». E persino alla fine, anziché sdrammatizzare, aveva tenuto a ribadire: «Comunque nello scherzo non c’ero caduto!».
Con Crozza, da Ballarò si è fatto il bis. Tutto è successo in otto roventi minuti, sei di imitazione, otto primi piani di Walter che passa dal sorriso allo sconcerto, sotto il bombardamento del comico. E dire che poco prima di lui, Pier Ferdinando Casini, spontaneo o no (sembrava scioltissimo), aveva riso di gusto, facendo bellissima figura. Crozza lo aveva sfottuto sul matrimonio con Azzurra: «Si è sposato solo una settimana fa, grazie per essere venuto in luna di miele a Ballarò!». E il leader dell’Udc si divertiva come se non si parlasse nemmeno di lui. Al secondo affondo di Crozza («è vero che la prima notte di nozze l’avete passata a letto con Bruno Vespa, che doveva scrivere l’ultimo capitolo del suo libro sull’amore?») si era persino aggiunto all’applauso dello studio.
Veltroni invece parte bene e finisce male. Alla prima battuta, quando il comico gli dice che suo figlio non sa dirgli chi è il suo migliore amico «perché non ha fatto le primarie» ride con singulto. Alla seconda peggiora: «È vero che per rispondere al problema della criminalità ha organizzato un festival del cinema romeno?» (lui ride, ma si morde anche le labbra). Alla terza, con Crozza che gli chiede se anche sua moglie scriverà una lettera a La Repubblica come la Lario batte gli occhi. Alla quarta, quando Crozza imita la voce di Berlusconi («ho più donne di lui!») batte gli occhi come per dire: dove vai a parare? Alla sesta, quando il comico dice che in caso di «spallata» e crisi di Prodi lui «organizzerà un festival, l’inaugurazione di un asilo, o la presentazione di un libro» sospira e gli si legge in viso: ce n’è ancora per molto? Il comico lo martella. La regia adesso proietta un Crozza truccato da Veltroni che parla male dei comunisti («non sanno chi è Pizzaballa, non amano l’Equipe ’84!») e sostiene la tesi inverosimile che lui è stato comunista solo per errore: «Ero iscritto al Pci, ma credevo che fosse la Polisportiva Canottieri Italia!». Il Veltroni-Crozza dice che lui aveva scambiato «le vittime dei Gulag per le Ombre rosse di John Ford». Il vero Veltroni in studio è inquadrato di profilo. Terreo. Il Veltroni-Crozza chiude con una battutaccia sul ma-anchismo del leader, la tendenza a tenere insieme tutto: «Leggete questo libro di Amalia Frignazza: mi è piaciuto molto, ma, pacatamente, mi ha anche fatto cagare».

Veltroni ha gli occhi spalancati. Si passa la lingua fra i denti. «Si riconosce?», chiede Crozza. E lui: «Ma manco per niente». Comunicazione di servizio: nello staff, oltre ai sei portavoce, urge sparring partner anti-satira.

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