Antonini e il magnifico errore

Lo chef di Imàgo, il ristorante in cima all’hotel Hassler di Roma, propone un nuovo menu, Project, che spinge oltre la ricerca sui sapori tersi e profondi partendo dalla fecondità dell’imperfezione. Una collezione di piatti memorabili (tra tutti il Cetriolo di mare in salsa verde) con i bonus di una vista memorabile sulla capitale e di una sala quasi perfetta

Antonini e il magnifico errore

Di Imàgo, il ristorante in cima all’hotel Hassler di Roma, avevo scritto qualche mese fa, in occasione di una mia precedente visita. Se oggi torno a scriverne è perché ho avuto la fortuna – mai parola fu più acconcia – di tornarci per provare il nuovo menu di Andrea Antonini, il giovane chef, ed è stata certamente una delle migliori esperienze del 2024 per completezza e visione.

Il menu si chiama Project (Laboratorio Creativo 2024) e viene così presentato dallo chef romano: “L’errore è l’elemento indispensabile a ogni creazione che ambisca a un significato profondo. Distruggiamo e ricostruiamo tutto ogni sei mesi, con il solo scopo di migliorarci. L’errore è la base portante dell’evoluzione”. La conclusione darwiniana in realtà farebbe anche pensare a un menu sbagliato ma è tutto il contrario. Una collezione di meraviglie, di sapori tersi e precisi, di pensieri profondi con esiti di grande leggerezza, di coerenza di fondo. Partenza con una Pizza in cartone, direttamente dal delivery dei sogni, un boccone e via (purtroppo), poi con l’Acetosella con fragoline e sfere ghiacciate di mandorle (una sorta di prato selvaggio) e con dei Baccelli di piselli, caviale, piselli e gel di limone. Quindi uno dei piatti migliori della serata (inaspettatamente, direi): il Cetriolo di mare tagliato a strisce, saltato in padella, con una salsa pil pil con olio e mentuccia, con la parte affumicata e piccante che fronteggia con coraggio la parte grassa in una sinfonia di sensazioni. Quindi l’Agnello frollato per circa tre settimane condito con aceto al fieno greco, pelle croccante, jus d’agnello, riduzione di latte di pecora e fieno greco. Magnifico.

Ecco il servizio del pane, che qui diventa una vera e propria pietanza, con “miele” e burro salato, dove il miele è ottenuto dal processo di amilasi, che scinde gli amidi del pane avanzato e ha una nota di caramello arricchito dall’anice stellato. Poi un altro highlight: un Raviolo con ingredienti poveri: patate arrostite, pane tostato, cipolle e una salsa schiumosa realizzata con lievito madre e cipollotto. Sa di sfida alla semplicità l’altro primo, una “Pasta burro e parmigiano” (le virgolette non sono mie), dei ditalini cotti nel brodo di pollo e mantecati nel burro affumicato, polline di api, albedo di aceto marinato, salvia, parmigiano stagionato dieci anni. Il risultato è un sapore quasi casalingo che però arriva in cima a un lavoro certosino di scomposizione e ricomposizione.

La parte salata della cena sta per finire: ecco un Branzino in porchetta, una sorta di piatto-mosaico realizzato con tanti filetti di branzino impanati con le tipiche erbe della porchetta (come il pepe e il finocchietto selvatico) uniti e panati di nuovo con la cotenna del maiale soffiata, il tutto con maionese di limone e rosmarino e una salsa inglese ottenuta dalla riduzione di branzino e di costine di maiale. Virtuosistico. Dal mare+terra alla terra e basta: un controfiletto di manzo (scelta insolita, perché come fa notare Antonini si tratta di una carne che trova poca ospitalità nei menu fine dining) maturato per circa un mese, poi cotto alla brace e servito con una salsa leggermente piccante di senape e albicocche, gel di albicocche ancora acerbe, albicocca fresca in pickle sottaceto, juw del manzo e semi di senape. Un piatto immediato per lo chef: “Questo controfiletto di manzo beneventano spettacolare aveva bisogno di un affiancamento che lo esaltasse senza sovrastarlo; volevo che la materia prima risaltasse. Ci ho messo mezz’ora a pensarlo, eseguirlo, provarlo, lavorando di istinto. Ci sono piatti che richiedono prove e altri che semplicemente esistono sottopelle e arrivano al primo assaggio”.

La cena si avvia alla fine, ma con i proverbiali ritmi di Antonini, uno che è consapevole che una cena debba essere un divertimento e non una mezza maratona e che per di più ci tiene a non far fare troppo tardi ai ragazzi della sua brigata, sono ancora in gran forma, pronto per i dolci: un predessert con perle fresche di cetriolo, melone bianco, chartreuse, gel di limone, gel di menta, erbe aromatiche fresche; un poetico Fiori e fiori, dove il gelsomino e il sambuco tornano in varie vesti; e un dolce finale a base di crema di mandorle, patè di olive taggiasche, perle di anguria fresca, brioche caramellata con olive e foglie di cappero, aspic di anguria, gelato di mandorla, filo d’olio e sale.

La cena è un viaggio in paradiso. Per il resto non posso che ripetere la meraviglia per la vista dal mio tavolo affacciato sui due campanili della ciesa della Trinità dei Monti, con lo sguardo che subito rotola giù sulla scalinata più famosa del mondo e su una Roma che ha appena indossato i lustrini della notte. Ma anche qui dentro non va male, con il sommelier Alessio Bricoli che accompagna i miei piatti con una trovata enologica dopo l’altra (nota territoriale il grande rosso del Lazio Habemus di San Giovenale), attingendo da una carta internazionale e ricca di referenze di prestigio e con il bravissimo Marco Amato, un’istituzione a Imàgo, che dirige la sala da par suo. Il carrello dei formaggi è una repubblica indipendente (tutti buoni, tutti italiani).

Il menu, senza abbinamento dei vini, costa 210 euro come quello dedicato ai Classici delle precedenti degustazioni. In cucina con Andrea ci sono lo chef de cuisine Riccardo Romolo, il pastry chef Luca Villa e il junior sous chef Andrea Carbonaro.

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