Un torbido caso di omicidio, oggi ancora irrisolto, rischiò di far saltare la carriera di una delle più grandi cantanti del '900: Edith Piaf.
Bastò un solo colpo di pistola, dritto alla testa della vittima. Sicuramente furono coinvolti quattro uomini. Ma la polizia di Parigi non li trovò mai. L’affaire Leplée ha sconvolto la Francia e continua ad appassionarla oggi ancora. Ed è stato solo per un miracolo se quel delitto che si consumò un lunedì di tanti anni fa, il 6 aprile del 1936, non travolse una stellina della musica che proprio allora stava iniziando a brillare. E che diventerà niente poco di meno che Edith Piaf, la voce di Francia.
Il "principe" dei cabaret
Louis Leplée era un impresario, un manager ma, soprattutto, era un uomo di mondo. Uno dei "principi" della vita mondana. Gestiva locali in pieno centro a Parigi, che negli anni suoi era ancora la capitale culturale d’Europa. E dunque del mondo intero. Erano gli anni ruggenti dei tabarin, dei bistrot e dei cabaret. Dove era possibile incontrare tutti: uomini di Stato e papponi, artisti affermati e borghesi dilettanti in cerca di svago, padri di famiglia in libera uscita e figli intenti a prosciugare i patrimoni aviti, criminali e gran dottori, gente in cerca di evasione, di un tozzo di pane o di una scappatella, più o meno confessabile. Leplée si muoveva in quel mondo di mezzo perfettamente a proprio agio. Era il direttore del Gerny’s, che allora era un punto di riferimento fisso e immancabile per la vita notturna parigina e i suoi assidui frequentatori. Di cui conosceva tutto, forse troppo.
L'amicizia con Oscar Dufrenne
Leplée aveva fatto strada nell’ambiente della notte grazie a Oscar Dufrenne. Un personaggio vero, Dufrenne. Era nato a Lilla e a Parigi aveva iniziato a fare l’artista. Si impose quando, durante la prima guerra mondiale, si mise a capo di una delegazione di artisti che riuscì a convincere il governo di Parigi a tenere aperti i teatri. Negli anni ’20, diventò leader del sindacato degli artisti e già politico in carriera, curò allestimenti che fecero epoca. Più volte lavorò con la mitica Josephine Baker, la “Venere Nera” che faceva impazzire il mondo. Nel 1926 fu decorato della Légion d’Honneur. Omosessuale dichiarato e impegnato in politica, Dufrenne schiuse le porte del successo all’amico Leplée sostenendone l’ascesa. Fino al 1933. Quando il suo corpo, senza vita, venne ritrovato avvolto in un tappeto e con il cranio fracassato, nel suo ufficio al “Palace”, la sala che dirigeva da tempo. Leplée non poteva immaginare che, qualche anno dopo, anche lui sarebbe stato ucciso come il suo amico. E che tante se ne sarebbero dette e scritte su un presunto collegamento tra le due morti.
Le Gerny's e la giovane Edith Piaf
Intanto si godeva il successo del suo locale dove, da qualche tempo, si esibiva una giovane cantante. Fu lui, Leplée a toglierla a una vita di stenti, fiutandone il talento eccezionale. Quella ragazza era Edith Piaf, che le locandine rutilanti del Gernys’ pubblicizzavano come la Mome-Piaf: una formula tratta dall’argot parigino che stava per la ragazza-passero, soprannome che intendeva unire alla sua voce fantastica, il suo fisico esile. La giovane Edith sedusse gli amanti della buona musica e del bon vivre. Ha frequentazioni non certo raccomandabili, ma “papa Leplée” cerca di difenderla come e quanto può. La guida e sostiene fino a portarla a incidere quello che sarà il suo primo disco. Proprio quando il sogno stava per avverarsi, la situazione rischiò di precipitare.
La "Mome" sotto torchio
Il 6 aprile del 1936, il giorno prima del suo 53esimo compleanno, Louis Leplée venne ucciso con un colpo di pistola in casa sua. I giornali d’allora diedero ampia eco alla notizia. E, fatalmente, coinvolta nel caso finì anche Edith Piaf. I media gongolarono: “La Mome Piaf longuement entendue”, la Piaf effettivamente fu interrogata a lungo dagli uomini dalla Cogne, come era chiamata la polizia nel "gergo" dell'argot. Non perché fosse indagata ma perché i gendarmi si convinsero che la ragazza poteva sapere chi e perché avesse deciso di ammazzare il suo Pigmalione. La misero sotto torchio ma non ne cavarono nulla. Edith ne uscì pulita ma evidentemente rischiò tanto, tantissimo. E di certo non sul profilo giudiziario. Furono diverse le piste battute dagli inquirenti: una vendetta privata, un ex dipendente arrabbiato per un licenziamento, uno “sgarro” a chissà chi. Si riuscì a ricostruire parzialmente cosa fosse accaduto: quattro uomini avrebbero fatto irruzione nell’appartamento di Leplée e, dopo un brevissimo ma violentissimo litigio, gli avrebbero sparato. Non portarono via nulla dall’abitazione, nemmeno un “tesoretto” in franchi che l'uomo teneva nascosto in un cassetto.
Un mistero lungo 85 anni
Di loro, però, non si riuscì a sapere nulla. Né un nome, né un indizio, niente. Nemmeno un movente valido. Un mistero che oggi ancora affascina i francesi che continuano a dividersi e ad appassionarsi al caso. Che però, adesso come allora, rimane irrisolto. Qualcuno oggi come ieri, ancora vuole tirare in ballo la povera Piaf. La cui carriera, dopo la morte di Leplée, per un paio d’anni rimase come sospesa nel limbo. Fino all’incontro con Raymond Asso, che ne farà un'artista completa e la porterà a cantare nei music-hall più importanti di Parigi. Salvando la carriera di una giovane donna e facendo nascere un’icona immortale, per la Francia e per l’Europa intera: quella immortale della grande Edith Piaf.
La figura di Louis Leplée è intrecciata fino in fondo a quella della sua pupilla. E non è un caso se il ruolo del manager che per primo intravide quanto talento ci fosse in Edith Piaf è stato interpretato, nel film che racconta la sua vita (La Vie en Rose, 2007), addirittura da Gerard Depardieu.
Una vita davvero "cinematografica", quella dell'artista parigina. Tra grandi amori e lutti disperati, la vita di Edith Piaf, che oggi riposa al cimitero degli artisti di Père Lachaise a Parigi, non è stata, purtroppo per lei, "en rose". Ma il suo mito non è morto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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