Quei professorini faziosi che straparlano di destra

Tra stereotipi e luoghi comuni, i libri sulla cultura conservatrice sembrano scritti da gente appena sbarcata da un altro pianeta

Proviamo a fare il solito gioco dell'extraterrestre che cade sul pianeta Italia. Se per orientarsi nei territori delle idee politiche usasse il nuovo saggio di Gabriele Turi La cultura delle destre (Bollati Boringhieri), che si propone come «la prima mappa dettagliata dell'ampia rete di iniziative che aspirano a una durevole egemonia dell'esperienza di governo della destra», beh... ad andar bene il nostro alieno si perderebbe al primo capitolo. Ad andar male finirebbe in un mondo fantastico, cioè che non esiste.

Di parte e «fantasioso», Gabriele Turi, docente di Storia contemporanea a Firenze, appare in realtà lui stesso un extraterrestre, uno studioso «alieno» dal mondo della destra, che ricostruisce con il settarismo e la superficialità che da anni sono propri di molti «osservatori» progressisti. E così, dopo cinquant'anni di egemonia di sinistra (non «supposta» come scrive ogni volta l'autore, ma reale, come testimonia l'Einaudi col suo «progetto grandioso, megalomane e forse insensato», come disse una volta Gian Arturo Ferrari, di casa editrice fiancheggiatrice del Pci) e dopo vent'anni di berlusconismo altalenante, c'è ancora chi come Turi, o come Massimiliano Panarari due giorni fa sulla Stampa, è convinto che la destra, o addirittura le destre, si riduca alla caricatura di «Dio, patria e famiglia» (sul piano delle idee) e all'altrettanto solita degenerazione sottoculturale fatta da Drive In e la Storia del fascismo a dispense (sul piano mediatico). Oddio!

Siamo ancora ai maestrini e ai marziani di sinistra che vogliono insegnare agli impresentabili di destra che cosa sia la cultura. Maestrini convinti che i valori della destra siano «consumismo», ipercapitalismo, «arricchimento personale» (sic), integralismo bigotto e basta. Marziani che credono si possa ottenere il consenso di sei-dodici milioni di elettori con Paperissima e il tg di Emilio Fede, oppure con «la battaglia sotterranea» di media e istituti come Ideazione o la fondazione di Tremonti e tante altre realtà che pure svolgono un grande lavoro, e nel quale una parte consistente del centrodestra si riconosce, ma che non si può dire abbiano mai «conquistato» i centri di potere: i ministeri (dove dominano i funzionari), le università (in mano ai baroni), i grandi editori (si pensi all'Einaudi «berlusconiana» dove di fatto decidono gli antiberlusconiani à la page).

Maestrini e marziani per i quali - come sostiene Turi nel capitolo La storia in rete e una rete per la storia - il sito www.storiainrete.com è il più robusto dei fili (gli altri sono le edizioni Settimo Sigillo, il mensile Area, il trimestrale Ircocervo...) «che si intrecciano fino a costituire la piattaforma di una cultura reazionaria che utilizza la storia per affrontare i problemi dell'attualità». E tutto questo dal 2001 al 2009. Una mission che crediamo neppure la destra stessa si era accorta di aver mai realizzato. «Si viene così configurando uno schieramento culturale teocon, coincidente con obiettivi e scelte politiche del centrodestra, nel quale la rilettura di tutta la storia d'Italia in senso revisionista si accompagna sempre più a un cattolicesimo intransigente». Come se rileggere certi periodi storici fosse un atto criminale (e a lungo criminalizzato) oppure come se a destra si citasse solo Il Timone ma non, per fare un nome che Turi non fa, l'Istituto «Bruno Leoni» (premiato ieri come «European Think Tank of the year» dalla rivista Prospect).

A leggere lo studio di Turi si scopre l'esistenza di una micidiale offensiva in Italia della cultura di destra (un «pensiero antidemocratico e conservatore», peraltro) - che ha le proprie armi vincenti in «una miscela di elementi plebiscitari e tradizionalisti, assieme al controllo dei massmedia»: che ci sembra un approccio davvero semplicistico, e che riduce a un piccolo pianeta un intero universo che spazia dall'editore Rubettino agli interventi di Pietrangelo Buttafuoco su Repubblica. Si scopre che la chiave di volta della “rivoluzione culturale berlusconiana” è stato il revisionismo storiografico con il quale si vuole distinguere un fascismo buono da uno cattivo e gettare ombra sulla purezza di tanti intellettuali antifascisti (e in questo hanno le loro responsabilità anche i vari Pierluigi Battista e Mirella Serri: anche loro organici al progetto berlusconiano?). E si scopre che «le culture di destra hanno preso piede nel Paese, occupando uno spazio lasciato vuoto dalle sinistre»: ma l'Opinione, la Fondazione «Liberal» e l'editore Il Cerchio, attivissimi e impegnati, non sono l'Unità, l'Istituto Gramsci e gli Editori Riuniti ai tempi della presunta egemonia culturale della sinistra. E comunque, la destra (o meglio, appunto, le destre) non si esaurisce coi circoli sanfedisti, l'individualismo metodologico e i nostalgici. Vivadio la grande casa delle destre è abitata anche da liberali, laici e «comunitaristi», ad esempio. La destra non è un deserto, è un ecosistema complesso, vario e più difficile da classificare di quanto si pensi.

È per questo che alla fine, per colpa di

queste strane mappe disegnate da intellettuali extraterrestri, il nostro marziano - complice la scontata «opera di ottundimento» delle tv berlusconiane... - finirebbe per smarrirsi. O ritrovarsi su un pianeta che non esiste.

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