«La base atomica» è un'esplosione di amara ironia

«La base atomica» è un'esplosione di amara ironia

Ogni venti, trenta pagine, vai a controllare d'aver letto bene. E ogni volta non ti sembra vero che la prima edizione sia del 1948. Perché c'è una ragazzina con le unghie smaltate di nero tipo punkettara anni '70 o '80 (o pariniana di oggi) la quale peraltro dice, quando scopre di essere incinta: «io sono mia». Perché il suo fratellino minore, 12 anni, cresciuto nella bambagia dell'alta borghesia, rivendica così la propria libertà: «noi possiamo fare tutto, perfino essere comunisti, se quei maledetti comunisti ci lasciassero farlo». Perché c'è un organista new age che parla come Marco Pannella. Perché la protagonista è la guerra fredda che sta per saltar giù dalle ginocchia di Giove e venire a trovarci. Perché l'altra protagonista, quella in carne e ossa, è una cameriera che si chiama Ugla e che, assonanza del nome a parte, sembra Ugly Betty: inconsapevole e fatalista, sfigata e fortunata, dimessa e saggia. E infine perché l'autore del romanzo, Halldór Laxness (1902-98), premio Nobel nel '55, scrive con un piglio così ultracontemporaneo, delineando personaggi talmente assurdi e caricaturali nel loro iper-realismo in una catena soltanto apparentemente scombiccherata di piani sequenza che, se non fosse morto nel '98 ma avesse, oggi, una trentina d'anni verrebbe pubblicato da Granta e sarebbe nella classifica dei migliori giovani autori stilata dal New Yorker.
Atómstöðin, cioè La base atomica (Iperborea, pagg. 263, euro 16, traduzione di Alessandro Storti) torna ora nelle nostre librerie dopo l'ormai antica apparizione in una monografia di Fabbri Editori. Era il '68, dunque l'antiamericanismo che funge da accompagnamento in sottofondo del libro risultava di stretta attualità, mentre oggi molto meno, visto che il ricatto atomico, ai nostri giorni, di tanto in tanto ha gli occhi a mandorla oppure viene formulato tirando per la giacchetta Allah... Ma allora, quando Laxness si dedicò al fantastico mondo di Ugla, la guerra (quella calda) era finita da poco e il suo Paese, l'Islanda, stava 1) per entrare nella Nato e 2) per diventare in pratica una base atomica a uso e consumo degli Stati Uniti. Ma come, si chiedevano gli islandesi e si chiedono conseguentemente i personaggi del libro, noi che siamo stati per sette secoli sotto il tallone della Norvegia e per un altro secolo sotto quello della Danimarca, proprio adesso che siamo diventati una repubblica indipendente ci facciamo mettere i piedi in testa?
Laxness s'inventa, come avversaria dei suoi pacifici compatrioti, la FFF, Federation of Fulminating Fish, in islandese ribattezzata Federazione per la Falsificazione delle Fatture, classico frutto avvelenato del capitalismo. Nulla di più lontano dal candido sogno di Ugla la quale, scesa nella capitale Reykjavík dal profondo nord per prestare servizio nella casa di un deputato e uomo d'affari, coltiva l'utopia di ricostruire una chiesa (piuttosto laica) dalle sue parti, dove l'attende il padre.

Nel frattempo scodella Guðrún, figlia del peccato ma non dell'amore, perché l'amore, pensa è «un passatempo da gente repressa che vive in città, un surrogato della vita semplice». Del resto «tutto il mondo è una base atomica», dice l'organista simil-Pannella. Meglio spassarsela finché dura. In fin dei conti comunismo e capitalismo non sono altro che seccature.

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