Bram Stoker, il perturbatore dell’inquietudine pubblica

Fu l’autore vittoriano che interpretò meglio il carattere del proprio tempo. E ora escono per la prima volta in Italia Il mistero del mare e L’Uomo

Bram Stoker, il perturbatore dell’inquietudine pubblica

Bram Stoker non era un grande scrittore. Tutto sommato non era nemmeno uno scrittore. Insufficiente nello stile, scarno nel vocabolario, di respiro corto e affannoso, claudicante nel tratteggio dei personaggi, tutt’altro che originale, fatta eccezione per Dracula, suo figlio prediletto (non da lui, da noi), che poi alla fin fine è un patchwork il cui copyright appartiene alle dotte incursioni filologiche del suo «consulente», il professore ungherese Arminius Vambery, con l’appoggio esterno, pare, di un’indigestione di insalata di gamberi che avrebbe, come dire... agevolato il risveglio del Conte in una notte agitata per banali motivi di digestione.
Bram Stoker, tuttavia, era un perturbato e dunque un perturbatore. Un grande perturbatore, probabilmente il maggiore della letteratura, quantomeno quella «di genere». Il «perturbante» è una categoria dello spirito, non soltanto della narrativa. È la carrozza su cui viaggia, per lande desolate, la psiche ipersensibile del già di per sé perturbato lettore, il quale, diversamente, non si metterebbe a leggere quella roba lì. È il divano su cui da soli, senza il sottofondo delle ramanzine colpevolizzanti del professor Freud (autore, fra l’altro, del saggio Il perturbante...), viviamo ed elaboriamo le nostre carsiche inquietudini. Lo stesso perturbante che Silvio Raffo, nell’ultimo numero di Poesia, chiama in causa a proposito di un altro celebre perturbato, Giovanni Pascoli, giunto anch’egli, il 6 aprile scorso, a festeggiare i cento anni dalla propria dipartita. «Qualcosa di innocentemente domestico, se contemplato fissamente, si trasforma al nostro sguardo in una visione inquietante», scrive Raffo. E l’«innocentemente domestico» che diventa agente criminoso è anche il fertilizzante della selva oscura stokeriana.
Come Carmelo Bene era non-attore bensì atto, così Bram Stoker era non-scrittore bensì scritto: subiva le proprie perturbazioni e le amplificava. Era, insomma, un medium, la bocca attraverso cui parlano i fantasmi della coscienza. Il suo testo è scrittura automatica, eterodiretta e spiritica, una seduta polverosa, che sa di tabacco e di nebbia. Per comprendere l’anima del vittorianesimo, cioè di due terzi di Ottocento inglese, leggere Stoker è l’«abc».
Stoker il quale, fra l’altro, divenne ben presto «stokerismo» e oggi, a un secolo dalla sua morte, resta stokerismo all’ennesima potenza eppure depotenziato, perché la mamma degli «stokerini» è sempre incinta, e sia detto con il massimo rispetto per gli eserciti di generi e generini che discendono dall’irlandese nato in un sobborgo di Dublino l’8 novembre 1847 e morto a Londra il 20 aprile 1912. Del resto, già nel 1925, per la duecentocinquantesima replica della versione teatrale di Dracula, al Prince of Wales Theatre of England, come ricordava Riccardo Reim, «gli spettatori si videro consegnare a mo’ di cadeau una strana busta chiusa “da non aprire prima della fine del terzo atto”: dentro c’era una copia di quel primo, pressoché sconosciuto capitolo \\\\, preceduta dal volo di un pipistrellino a molla di carta nera». Il gadget come mezzo, con la benedizione abbondantemente ante McLuhan.
Se oggi Dracula è un marchio rivisitato in tutte le salse purché a base di pomodoro, per restituire il color rosso rubino tipico del sangue di cui il Principe delle Tenebre è ghiotto (compreso il gustoso Dracula tradòtt in milanes, edito da Menaresta nel 2010 - la traduzion l’è stada curada dal Lorenz Banfi), lo Stoker erroneamente definito «minore» meriterebbe maggior attenzione. Pensiamo a La tana del serpente bianco (Donzelli, 2010), a Il passo del serpente (Palomar, 2007), ai racconti riuniti in La coppa di cristallo (Passigli, 2007).
E ora gli stokeriani di palato fino e di stomaco forte, oltre che dotati di alti livelli d’attenzione onde evitare spiacevoli abbiocchi, possono addentare due prede mai viste dalle nostre parti, Il mistero del mare (Nutrimenti, pagg. 464, euro 19,50, traduzione di Mirko Zilahi de’ Gyurgyokai), in cui il barometro punta deciso sull’avventura, e soprattutto L’Uomo (Leone Editore, pagg. 304, euro 14, traduzione di Sara Ricci). Perché a ben vedere anche la protagonista di quest’ultima opera, di nome Stephen, a suo modo è un conte Dracula.

L’amato paparino e la defunta mammina desideravano tanto un maschietto, quindi lei è chiamata a una doppia vita, da donna e da uomo. Sorta di trans spirituale e cerebrale, l’eroina oscilla di qua e di là e, alla fine, ci consegna la chiave di lettura del suo creatore: il perturbante è asessuato.

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