Buttafuoco, sul rogo dell'ironia c'è posto per tutti

Esce in libreria Fuochi, un "best of" di incursioni politiche degli ultimi anni

Buttafuoco, sul rogo dell'ironia c'è posto per tutti

Ora che la Rai ha cancellato Questa non è una pipa, i fan di Pietrangelo Buttafuoco se lo ritrovano almeno in libreria con Fuochi (Vallecchi, euro 14,50), in uscita il 28 novembre, un «best of» di incursioni politiche degli ultimi anni. Buttafuoco è forse il miglior fabbro del giornalismo cattivo. Sin da quando, praticante al Secolo d'Italia a inizio anni '90 firmava un boxino con lo pseudonimo Dragonera. Il direttore Gennaro Malgieri chiudeva il giornale ma non controllava la rubrica. La mattina dopo leggeva attentamente, prendeva carta e penna e cominciava a scrivere biglietti di scuse. Buttafuoco riuscì a farlo litigare con tutti, da donna Assunta agli alti papaveri dell'Msi.
Buttafuoco, pur lanciando frecce infuocate a destra e a sinistra, è più un umorista che un polemista. Usando la tecnica indiretta alla Pirandello: l'apparenza comica lascia intravedere la tragedia. Un esempio: la scena in cui l'autore descrive l'incontro con Gianfranco Fini in una strada di Roma. Spiega Buttafuoco, ex militante dell'Msi «tradito» da un Fini alla disperata ricerca di legittimazioni centriste: «È riuscito, lui, con le sue cravatte sbagliate, a distruggere un partito - un ambiente, una comunità - che da Bolzano a Trapani aveva superato le persecuzioni, l'ostracismo e l'indifferenza». Ma nella scena dell'incontro i due non si parlano: Fini è nell'auto blu. Si guardano attraverso il vetro, si riconoscono per l'attimo che basta al giornalista per notare una cravatta che ha il colore del «cane in fuga, bandiera di un'ambizione stritolata».
Molte frecce infuocate in questo libro sono riservate alla sinistra della gente che piace. Ecco Tiziano Terzani. «L'orientalista non si veste da orientale, il latinista non si veste da antico Romano, il grecista non si veste da Aristotele. Con la banalità antioccidentale non si fa orientalismo, ma nobile caricatura, più che orientalisti si fabbricano dei disorientati». Per spiegare il successo di Fabio Fazio, si recupera la fenomenologia di Mike Bongiorno di Umberto Eco: «Al tempo del Mike, la tivù non era ancora diventata il cuscino trapuntato di colte sfumature, quello che è Fazio Fabio, cuscino di pregiate natiche».
E Oriana Fallaci? I due erano divisi da potenti motivazioni ideali. Destra «spirituale», saracena, socialista quella di Buttafuoco, destra illuminista, amica degli Usa, cattolica solo come lascito storico, quella della Fallaci. Dal «coccodrillo» di Buttafuoco per la «nemicona»: «Chi scrive adora Oriana Fallaci, non fosse altro che per un delizioso tormentone cui la sottoponeva Giuliano Ferrara. Chi scrive era al Foglio, giornale, ai tempi, con articoli non firmati. Ogni volta che le capitava sotto il suo attento occhio un pezzo appunto anonimo ma di suo gusto, chiedeva a Giuliano: “Chi ha scritto quest'articolo?”. E Ferrara, divertito, piano piano le diceva: “But', But', Butta'... Buttafuoco”. E giù urla: “Quello strrronzooo d'un maiaaale!”».


Troviamo un Dell'Utri «gatto di marmo imperturbabile e però ironico», un Berlusconi «a cui piace piacere al punto di anteporre il fottere al comandare». E nel ritratto-intervista che Buttafuoco gli dedica, Scalfari comincia con lo spiegare all'autore una mossa imparata da ragazzino, nei balilla: come si fa il saluto romano.

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