Caro calcio, raccontami una storia

Un centravanti nel gulag, un futuro "mister" a Dachau. E il premio Nobel Camus in porta...

Caro calcio, raccontami una storia

Coriandoli e tempi supplementari, foto posate e foto rubate, canzoncine e inni. Il calcio non è anche questo, ma anche questo è calcio da prendere a calci, con un tiro «a giro» o con una stangata sotto la traversa. Louis Tomlinson e Kenny Samson non hanno nulla in comune tranne la desinenza del cognome. Figuratevi, il primo è nato quando la carriera del secondo volgeva al termine. E poi il primo «gioca» negli One Direction, la boy band che fa impazzire le ragazzine, mentre il secondo ha preso una direction che, se non farà presto un cambio di direzione, lo porterà dritto all'inferno.

Notizie di pochi giorni fa: storie di calcio. Louis, lo sbarbatello, classe '91, ha firmato un contratto con i Doncaster Rovers, serie B inglese, squadra per cui, dice, faceva il tifo quand'era piccolo (!): «Servivo hamburger prima e durante la partita, c'era un caos formidabile». Kenny, il difensore indifeso, classe '58, avvolto e strozzato dai fumi dell'alcol, forse non si ricorda nemmeno di detenere il primato di presenze per un terzino (ben 88 dal '79 all'88) con la Nazionale inglese. Erano i tempi per lui gloriosi del Chrystal Palace e soprattutto dell'Arsenal. Calcio mediatico da una parte e calcio giù antico dall'altra, calcio come operazione di marketing e calcio come dannazione.

Storie di calcio che forse un giorno qualcuno scriverà, lontano dai coriandoli e dai lustrini e lontano dai tempi supplementari e dalla «lotteria dei rigori» della vita. Per adesso, altre storie di calcio, storie che non sono ancora vulgata, ma sono già scritte, verranno raccontate in Valle di Comino, agglomerato di, come si suole dire, ridenti cittadine, anzi paesini laziali, dal 23 agosto, proprio a poche ore dall'inizio del campionato.

Nella sezione «Il giocatore» non ci sarà il tormentato Falcao del centrocampo russo, il «divino» Dostoevskij, ma, per stare in zona ecco apparire in spiritu Eduard Anatol'evic Strel'cov, centravanti della Torpedo Mosca negli anni Cinquanta e Sessanta, tramontata il 20 luglio '90. Donne, vodka e gulag (2010) di Marco Iaria, ne racconta l'avventura. Fumatore, bevitore e collezionista di belle ragazze, Strel'cov battè papa Celestino V per 2 a 1, con la sua doppietta di «gran rifiuto», prima al CSKA, la squadra dell'Armata Rossa, e poi alla Dinamo, la squadra del Kgb. Mal gliene incolse, visto che finì in un gulag, accusato di violenza carnale. Anche per Cestmír Vycpálek, che per i giovani è soltanto lo zio di Zdenek Zeman, il più bravo di tutti a perdere, e per i vecchi è una leggenda juventina, i minuti di recupero furono lunghi, interminabili lassù, internato a Dachau, come spiega Stefano Bedeschi in Da Dachau al tricolore (2012). Mentre un altro zio, Zio Luigi. L'ultimo uomo d'onore (2012), di Giancarlo Ciabattari, ci accompagna in tutt'altra provincia, calcistica e non, rispetto alla Real Madrid e alla royal Manchester, United o City fa lo stesso: la Calabria 'ndranghetosa che si presenta a un calciatore venuto dal profondo nord.

Sono loro le teste di serie dei gironcini per questa Champions League frusinate. Iaria, Bedeschi e Ciabattari, il 23 agosto, metteranno in campo i loro «top player». Poi, siccome il gioco di squadra richiede gente che corra e faccia legna, la rosa si allargherà. E allora la nostalgia canaglia degli over 40 che non accettano di essere derubricati a vecchie glorie si eserciterà sulle figurine Panini, i nostri ex-voto, i nostri santini nel paradiso del pallone, i nostri compagni «sul campo per destinazione» (cfr. Enrico Ameri), con o senza «ventilazione inapprezzabile» (cfr. Sandro Ciotti), con o senza il Novantesimo e oltre minuto di Paolo Valenti. E sui palloni Supertele, Supersantos e Tango, palliativi da oratorio o da giardinetti delle «sfere di cuoio». Gianni Bellini e Davide Coero Borga se li palleggeranno ronaldinhescamente, moderati dall'interista Vittorio Macioce e dal milanista Massimo M. Veronese. E ci scuserete se continueremo a giocare in casa, noi del Giornale, con il vicedirettore Giuseppe De Bellis, aedo di Fantantonio Cassano e nostalgico cantore del Mondiale 2006.

Parole scritte e parole dette. Soprattutto parole giocate sul filo della memoria. E della letteratura. Che a esempio ci parla di un dilettante da pallone d'oro, oltre che da premio Nobel: Albert Camus. In Il portiere e lo straniero (2013), Emanuele Santi segue e illustra le traiettorie dei suoi tuffi e della sua prosa. Accosciati, da sinistra a destra: per Eraldo Pecci Il Toro non può perdere (si saranno dimenticati di avvertirlo); Darwin Pastorin si coccola La mia Juve (sua, e se la tenga); Gianfelice Facchetti sbotta Sennò che gente saremmo (i soliti bauscia...) e via almanaccando.

Perché anche noi calciomani e lettori, italiani per scelta, per caso o per sbaglio, non sappiamo vivere senza un caro nemico. Sul rettangolo verde, sugli spalti gremiti o su internet. A giocarci una pizza o la Cianson li.

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