Il conte De Vere e la vera storia del falso Shakespeare

Amore e odio, gelosia e tradimento, ebbrezza e tedio. E delitto, castigo, falsità, cupidigia, fortuna, rovina. E ancora, gli intrighi della corte e le sordidezze del volgo, le amicizie, le ossessioni, l'ombra della morte, i colpi di redini del destino. Era un perfetto personaggio scespiriano, Edward de Vere, poeta e diciassettesimo conte di Oxford. A tal punto scespiriano da aver inventato Shakespeare. Involontariamente, beninteso, perché non gli concesse come gentile omaggio la paternità delle sue (sue del Bardo) opere che invece l'altro, il sublime William, gli carpì con un subdolo piano criminale.
Questa è la storia, l'autobiografia che non necessita di essere romanzata essendo già di per sé romanzo, che racconta lui in prima persona oltre quattro secoli dopo la sua morte tramite la penna di Brünhilde Jouannic, trentacinquenne scrittrice francese che ha molto lavorato per il cinema. In Io sono Shakespeare (Cavallo di Ferro, pagg. 168, da oggi nelle librerie) l'esistenza dissoluta e luminosa, intensa ma in fondo solitaria del favorito di Elisabetta I è la trama che cela il filo conduttore dell'opera del più grande uomo di teatro della storia. Nelle avventure e disavventure di de Vere si colgono gli spunti degli immortali capolavori... dell'altro protagonista. Romeo e Giulietta e Amleto, Macbeth e Giulio Cesare, Misura per misura e Sogno di una notte di mezza estate sono lì, non scritti ma vissuti. Si trattava soltanto di metterli a tema...
«Io ho usurpato l'identità di un uomo, e questi mi ha rubato l'anima», dice Edward quando sente approssimarsi la fine, all'inizio del libro. Intorno a de Vere scorre il possente Tamigi della storia che lo conduce a un ballo (e a un flirt) con la regina, oppure in un postribolo veneziano, oppure nel volontario esilio nelle Ardenne, oppure, tardivamente, fra le braccia della prima non amata moglie. Intanto, da qualche parte nel regno della cugina di Maria Stuarda l'occhio vigile di Shakespeare sorveglia e annota.
Edward de Vere non fu l'unico a essere lusingato dagli studiosi con l'attribuzione di alcune opere di William.

Toccò anche a Francis Bacon, William Stanley, VI conte di Derby, e a Christopher Marlowe. Ma lui può «fregiarsi» anche del titolo di ispiratore del film Anonymous di Roland Emmerich. E forse quest'ultimo ha avuto una musa anonima di nome Brünhilde Jouannic.

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