Quando nel 2007 Niccolò Ammaniti vinse il premio Strega per il romanzo «Come Dio comanda» furono molti coloro che pensarono a un improvviso e inevitabile «imbarbarimento» del premio più blasonato delle nostre patrie lettere. Si diceva più o meno: adesso fanno vincere lo Strega anche ai giovani cannibali? Dove andremo a finire di questo passo? Il libro, però, era stato votato dalla maggioranza dei frequentatori di quel «salotto buono» di Casa Bellonci ed era quindi non il segno di un imbarbarimento in senso negativo del termine. Bensì doveva essere letto come l’arrivo di aria nuova in una stanza che è rimasta per troppo tempo chiusa. «Come Dio comanda» è un ottimo romanzo, popolato da personaggi forti e paradigmatici, con una struttura narrativa avvincente e un ritmo sincopato. Indubbiamente un grande romanzo, frutto di uno scrittore che ha davvero il talento del racconto.
Quella di creatore di sogni, (incubi soprattutto) dove la grammatica della narrazione segue un ritmo incalzante, è una delle cifre più chiare della prosa di Ammaniti. Ed è forse questa che ha incantato Gabriele Salvatores che dall’opera del giovane scrittore romano ha attinto per ben due volte. Prima di portare sul grande schermo proprio «Come Dio comanda» con uno strepitoso Filippo Timi, il regista premio Oscar con «Mediterraneo» aveva già trasformato in immagini il romanzo «Io non ho paura» del 2003. I due film sono legati da una caratteristica comune: i protagonisti sono ragazzini, assediati dalla paura ma con una grande voglia di vivere.
Ed è proprio ciò che vive interiormente il protagonista del romanzo breve «Io e te», uscito per Einaudi nell’autunno del 2010. Un romanzo breve che ha convinto Bernardo Bertolucci (già premio Oscar per «L’ultimo imperatore») a tornare dietro la macchina da presa. Il film, presentato quest’anno a Cannes, uscirà venerdì nelle sale italiane. Non ci sono, però, solo Salvatores e Bertolucci ad essersi cimentati con le narrazioni di Ammaniti. Il primo, in ordine di tempo, a rimanere sedotto dai racconti del giovane scrittore romano è stato Marco Risi che ha portato sul grande schermo il racconto «L’ultimo capodanno dell’umanità». Al cinema il film arrivò nel 1998 con il titolo «L’ultimo capodanno». Fu un tonfo inaspettato. Complice, sostennero poi gli addetti ai lavori e il regista stesso, di un montaggio sbagliato. Tanto che riuscì dopo un anno rimontato. L’esito non fu però all’altezza delle aspettative. In verità si può dire che, nonostante lo spirito del racconto di Ammaniti sia stato fedelmente trasferito sul grande schermo, «L’ultimo capodanno dell’umanità» era ancora troppo aggrappato ai personaggi comico-grotteschi che tanta bella figura fanno nei b-movie ma che poco appeal sortiscono in film d’autore. La pellicola, comunque, ha registrato nel corso degli anni un discreto gradimento dei cinefili e molte scene sono entrate facilmente nella memoria collettiva. Altra sfortunata pellicola fu «Branchie» che il regista Francesco Ranieri Martinotti trasse dal primo (omonimo) romanzo dello scrittore nel (1999). Una pellicola che si segnalò solamente per il debutto sul grande schermo del cantante Gianluca Grignani.
Ora arriva nelle sale «Io e te» di Bertolucci e i fan dello scrittore romano già si chiedono se qualcuno avrà mai il coraggio e lo spirito goliardico di portare al cinema l’unico romanzo di Ammaniti che per il momento resta orfano di una trasposizione cinematografica, vale a dire «Che la festa cominci», storia fantasiosa di una pirotecnica festa a Villa Ada disturbata dall’invasione di vecchi atleti sovietici autoconfinatisi nei cunicoli sotterranei della Villa e nelle adiacenti catacombe da quasi mezzo secolo. Da quando cioè la città di Roma ospitò i Giochi Olimpici del 1960.
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