Robert Musil fu un pensatore profetico. Forse disordinatamente, vista la quantità di testi spesso incompiuti che ha lasciato. Esce ora in Italia uno di questi suoi scritti. Titolo e tema sono significativi: L'uomo tedesco come sintomo (Pendragon, euro 14, a cura di Francesco Valagussa). Già nel 1923 Musil intuì, con capacità quasi oracolare, che la Germania sarebbe stata il paradigma, forse il baricentro, il magnete, attorno a cui sarebbe stato riletto il '900. E così è stato: nella prima parte del secolo col nazismo, nella seconda col Muro di Berlino e oggi con l'austerità sull'Europa e i suoi popoli.
Nonostante Hitler scrivesse soltanto nel '25 e nel '27 Mein Kampf e s'impadronisse del potere fra il '30 e il '32, il grande scrittore prefigurò anni prima che il mito della razza e soprattutto della grande nazione sarebbe stato fondamentale per l'uomo tedesco e in modo latente anche per l'Europa: non a caso, di lì a poco questo mito divenne la base teorica del nazionalsocialismo hitleriano. Ma perché attecchì così rapidamente? Per Musil i concetti di razza e nazione, pur non designando «niente di saldamente comprensibile», e pur contenendo «domande e non risposte», andarono a colmare un vuoto epocale, di cui la Germania si fece interprete: la mancanza di fede, che «non è una condizione soltanto religiosa, bensì una condizione che abbraccia anche il profano», generò un vuoto che il mito di superiorità della razza e della nazione andò a colmare nei cuori di milioni di tedeschi.
Morendo quando la seconda guerra mondiale era in corso, lo scrittore austriaco non vide la divisione post bellica tra la Germania dell'Ovest e la Germania dell'Est che durò fino alla caduta del Muro di Berlino, ma prefigurò il primato della forza capitalistica sulle altre possibili forze contendenti. Non scrisse che il comunismo era un'ideologia dell'uguaglianza fallimentare, ma che il capitalismo sarebbe stato vincente perché, tramite esso, «si realizzano antichissimi sogni dell'umanità», si concretizza «una miriade di fantasie che nei secoli passati erano soltanto sogni di potenza e di magia». Il Muro e la sua caduta hanno provato ciò che Musil predisse: il capitalismo sopravanza sugli altri sistemi perché «strappa alla natura grandi comodità in modo miracoloso».
Anche sull'Europa di oggi il grande autore ebbe l'acume della preveggenza. Di fronte a un capitalismo che, a suo sbagliato dire, «ha dissolto le vecchie forme, senza averne ancora costruita una nuova», che ha distrutto le connessioni tra uomo e uomo, tra villaggio e villaggio, privilegiando l'egoismo e creando un'ingestibile «anarchia degli atomi, una frammentarietà inesprimibile», l'Europa come reagisce? Con l'unità? No. Con la disgregazione, con l'immaturità. Sembra che scriva dell'Europa di oggi, incapace di darsi una politica unitaria, un'economia coordinata, con i Paesi più forti che tengono per il collo i più deboli. Musil lo scrisse sul finire del 1922. E aggiunse che l'uomo tedesco sarebbe stato il sintomo di questa disgregazione sociale e politica.
Non
conosceva l'attuale austerità imposta dalla Merkel ai popoli europei, che alimenta movimenti indipendentisti e no-euro, ma aveva già intuito che i tedeschi, di questa malattia disgregativa sarebbero stati il sintomo, o la causa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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