Quella notte al bar del paese avevo saputo una cosa che non mi aveva fatto bene. Mia moglie se la faceva con l'uomo del faro, già da un po' di tempo. Così mi aveva detto un collega, l'appuntato Loporchio, dandomi dei colpetti sulla spalla. Mia moglie. Eppure mi aveva sempre detto che mi amava. L'ultima volta me l'aveva detto non più di una settimana prima. E poi eravamo sposati. In chiesa. Lei aveva detto sì, io avevo detto sì. Sposati per sempre. Loporchio mi aveva detto che proprio in quel momento... Insomma, se andavo al faro potevo vedere con i miei occhi. Lo sapevano tutti in paese, aveva aggiunto, con la pietà negli occhi. Ma la pietà era la facciata, dietro rideva di me, come tutti gli altri. Io passai da casa a prendere una torcia elettrica, poi m'incamminai verso il faro. Non ci voleva molto, con il passo che avevo io. Quando arrivai avevo la faccia sudata. Però mi sentivo tranquillo, più o meno. Non avevo grandi emozioni, ma il mio cervello si scopava le stelle. Arrivai al faro. La porta era chiusa, ovviamente. Era notte, e la luce del faro tagliava il buio tutto intorno come un dito che scava nel burro. Un bello spettacolo, ma in quel momento non me ne fregava niente. Girai sull'altro lato e trovai una finestra. Ruppi il vetro, girai la maniglia e m'infilai dentro. Era tutto buio. Tesi l'orecchio, ma non sentii nessun rumore. Accesi la torcia e cominciai a salire i gradini. Arrivai di sopra, e a un tratto sentii delle voci. Sicuramente c'era una donna. Andai ancora avanti. Non erano voci, erano lamenti. Mi fermai ad ascoltare. Sì, era una donna. Non poteva essere mia moglie, non le avevo mai sentito fare quei versi. Pensai questo e mi venne uno strizzone allo stomaco. Continuai ad avanzare, trattenendo il respiro. Vidi un po' di luce che usciva da una porta aperta, e spensi la torcia. Sentivo uno strano formicolio allo stomaco, come se fossi un po' eccitato. Non so perché. Andai ancora avanti, e mi fermai accanto al vano della porta. Si sentiva il rumore violento di un toro che montava una vacca, e la donna che diceva: «Ancora... ancora... ancora... dai... sì... sì... ancora» Riconobbi la voce, era quella di mia moglie. Sentii una vampata di calore in tutto il corpo, e la cosa non mi piacque per nulla. Per qualche secondo rimasi un po' stordito. Si trattava di far entrare dieci anni di matrimonio in un sacco della spazzatura. O magari anche in quattro. Non era facile comunque. Rimasi ad ascoltare per qualche minuto, poi mi calò dentro il gelo. Ero più freddo di un morto. Ora potevo entrare in quella stanza. Varcai la soglia e mi fermai, con le braccia penzoloni lungo i fianchi. I due maiali andarono avanti per un po' senza accorgersi del cornuto che li guardava. Poi mia moglie aprì gli occhi e cacciò un urlo. Il porco si fermò, si voltò a guardarmi e si buttò di lato. Dopo un secondo erano tutti e due coperti da un lenzuolo fino al mento. Lui era un bestione bello grosso, tutto sudato. Mi guardava con gli occhi tondi. La vacca invece aveva nascosto la faccia dentro le mani, e stava immobile. Qualche secondo di silenzio, poi lui disse:
«Senti, posso spiegarti tutto». Eh no, non erano le parole giuste. Anzi erano le più sbagliate, erano le parole più banali che si potessero dire. Ma lui non lo capiva. E allora sorrisi.
«Stai almeno zitto» gli dissi. Il maiale invece disse ancora qualcosa, ma non era lui che volevo sentir parlare. E invece niente, lui non capiva. Continuò a snocciolare frasi senza senso. Se avesse detto: «Mi scopo tua moglie, ecco tutto», sarebbe stato più dignitoso, forse l'avrei addirittura ammirato. Ma così no. Non doveva dare per scontato di essere più forte di me. Non avevo bisogno di compassione, avrei preferito un pugno in faccia. Lui continuava a guardarmi e a dire quelle scemenze. Per non sentire più la sua voce lo dovevo ammazzare. Non ce l'avevo con lui, in fondo. Ma sapevo che non sarebbe stato zitto, e io invece volevo fare due chiacchiere tranquille con mia moglie. Sparai due colpi in fila. La vacca alzò la faccia e gridò, lui cadde giù dal materasso spruzzando sangue dal petto. Scalciò un paio di volte, poi si fermò. Lei cominciò a tremare, e intanto si puliva il sangue dalla faccia con le mani. Sgocciolava anche dal naso, come i bambini. Mi faceva pena. Non avrei mai voluto trovarmi al suo posto. Doveva essere mortificante. Rimisi la pistola nella fondina e andai a sedermi sul letto, come una mamma che sta per raccontare una fiaba. Lei indietreggiò e attaccò la schiena al muro. Era a un metro da me, ma mi sembrava lontanissima. Non la riconoscevo. Era più bella del solito, e aveva un'aria birichina che mi faceva bollire il sangue. Non parlava, non aveva detto una sola parola. Meglio così, cosa avrebbe potuto dire se non delle banalità? E in quel momento non era di banalità che avevo bisogno.
«Ora sistemiamo tutto» dissi. Lei annuì.
«Hai voglia di ascoltarmi?» aggiunsi. Lei annuì.
«Bene. Io ti ho sposata. Ho lavorato come un ciuco. Mi sono fatto in quattro per te...» Andai avanti a parlare per qualche minuto, ma non sapevo bene dove stavo andando. Parlavo con calma, anche se le parole che dicevo non mi piacevano. Le spiegai questo e quello, come un buon padre di famiglia. Poi le dissi che adesso dovevamo sistemare le cose in un altro modo. Lei era d'accordo. Le spiegai quello che avevo intenzione di fare, e mi guardò con un certo stupore.
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