Ci sono vite straordinarie che giocano a nascondino con biografie piatte. Quella di Giuseppe Sgarbi, papà di Vittorio e Elisabetta, era prevedibile come la grande pianura tagliata dal Po e si riassumeva in due battute: mezzo secolo dietro il bancone della farmacia di Ro Ferrarese, insieme alla moglie Rina Cavallini. Poi c’era l’esistenza carica di letture, un moltiplicatore strepitoso per chi sa farne tesoro, suggestioni,incontriimportanti. Avvenimentimemorabili. La guerra, la ricostruzione, l’alluvione biblica del Polesine, la sua terra natale, nel ’51, la famiglia dai mille personaggi, ciascuno col suo tratto caratteristico. Giuseppe Sgarbi,Nino, che se n’è andato ieri alla veneranda età di 97 anni, aveva incrociato grandi e piccole vicende del Novecento, le aveva indagate con l’occhio dello scrittore, e le aveva trattenute da qualche parte. Passava le giornate fra ampolle e alambicchi ma era un narratore formidabile, saturo di aneddoti e riflessioni. A 93 anni, su insistenza della figlia Elisabetta, editor, aveva dato forma a quel mondo e si era scoperto scrittore, liberando quel talento che aveva sempre tenuto nascosto a se stesso.
In pochi anni, questi ultimissimi anni, sono usciti tre romanzi: Lungo l’argine del tempo, Non chiedere cosa sarà il futuro, Lei mi parla ancora, struggente atto d’amore per la moglie Rina,appena scomparsa. E l’8febbraio, a questo punto postumo, andrà in libreria, sempre per Skira, la sua quarta prova: Il canale dei cuori. Con Sgarbi senior sulle sponde del Livenza, il fiume dove per moltissimi anni era andato a pescare, e con la capacità di far tornare un altro spicchio di quel ricchissimo passato. In particolare il rapporto con BrunoCavallini,fratello della moglie. Ma i protagonisti delle sue storie sono molti di più: Giuseppe Sgarbi sapeva come scuotere l’albero genealogico e trasformava in pepite le biografie apparentemente altrettanto banali del suo clan. Il padre Vittorio, imprenditore agricolo e seduttorefascinosissimo, la bellissima mamma Clementina, la zia Eliduina, che già nel nome sembra prestata da un racconto di Tommaso Landolfi, le sorelle. E ancora le vicende delmulino di Stienta, il primo ad energia elettrica di tutto il Nordest. Insomma, c’era in quel signore colto e defilato un’ alchimiafelice: la conoscenza dell’impasto umano, nelle sue infinite formulazioni e variazioni, e quel soffio epico con cui la sua generazione aveva affrontato i grandi drammi sullo sfondo della storia italiana.
Certo, per molti aspetti Giuseppe era gli antipodi del figlio: lui amava il suo paesaggio, nebbioso e monotono, quelmondo senza orizzonte in cui la terra e l’acqua si confondono e dove c’è spazio per riflettere,meditare,fantasticare. Tutto il contrario di Vittorio, che ha preso il carattere dalla vulcanica madre, sempre pronto a giocare a dadi con il destino, a spingere la routine in copertina e ad armarla in un duello con il mistero.
Giuseppe prediligeva il basso profilo, ma non vuol dire che fosse noioso: «Amava la vita e il cibo - raccontal’avvocato Giampaolo Cicconi, da sempre vicino alla famiglia e da sempre difensore di Vittorio nelle sueinfinite battaglie giudiziarie - organizzava sontuose degustazioni verticali di grandi vini come il Sassicaia o di champagne, al piccolo Vittorio leggeva le poesie di Pascoli e Baudelaire, era una grande persona alungo sottovalutata per i suoi modi semplici e modesti». Ma si, la vita si mimetizzava dentro quella biografia modesta e sbiadita. Anche se la sua casa aveva ospitato intellettuali come Giorgio Bassani, Valerio Zurlini, Pier Vittorio Tondelli. Aveva condiviso tutto con la suaRina, estroversa eincontenibile come Vittorio, aveva visto i due figli Vittorio e Elisabetta, lei più simile al padre, spiccare il volo, aveva subito poco più di due anni fa quel lutto lacerante.
«Pochi giorni primi di morire - conclude Cicconi - Rina, ormai malferma sulle gambe, lo salutò come si saluta il compagno di una vita: “Ciao piccolo”». Era il suo congedo.Ora lui l’ha raggiunta, anche se il colloquio fra i due non si era mai interrotto.
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