I poeti son poeti perché fanno profezie

«I poeti son poeti perché scrivono poesie», diceva Pietrangelo Bertoli, e dal secondo rigo in poi della canzone I poeti li prendeva bellamente in giro. Aveva le sue ragioni e poteva farlo, essendo uno di loro. Ma guai, se non si è poeta, a farsi beffe dei poeti. Perché i poeti son poeti perché scrivono anche profezie, e la rima, baciata in fronte dal futuro, è un puro caso. I poeti sanno essere profeti di sventure o di scenari ai loro tempi impensati e impensabili, sanno gettare il cuore e la penna oltre l'ostacolo del Tempo. Sanno soprattutto dire qualcosa senza volerla dire, cioè lanciare la bottiglia che reca un messaggio sibillino nel «vastum aequor» oraziano, nell'oceano che contiene, forse anch'esso inconsapevolmente, l'avvenire.
Perché non c'è poeta senza il suo lettore, come non c'è bellezza senza l'occhio che l'ammira. E il lettore, tapino, resta inchiavardato al proprio oggi, ne è vittima e in impercettibile misura artefice. Per questo ama specchiarsi, Narciso imperfetto dal naso bitorzoluto o dall'occhio glauco, nelle limpide acque dove nuotano i Signori della Parola. Allora, «preso per incantamento» direbbe Dante se volesse esagerare (e a volte esagerava, eccome se esagerava...), vede ciò che vuol vedere: la corrispondenza non d'amorosi sensi, ma fra i versi che riposano nelle antologie e l'attualità che riposare proprio non può.
Addirittura, il tapino in vena di facezie può cogliere fior da fiore per farsene una collana odorosa e indossarla. Il lauro no, il lauro lasciamolo ai poeti laureati. Accontentiamoci di questi pochi fiori. Non saranno opere di bene ma che importa: la poesia vola più in alto delle umane miserie.

A comporre la modesta silloge che presentiamo in questa pagina è proprio lei, Poesia, la rivista dell'editore Crocetti che per festeggiare i suoi 25 anni propone, nel numero di gennaio, i profili di cento poeti con alcune delle loro parole più dolci, più amare. E più attuali.

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