Roma - «Il cinema è un'invenzione senza futuro» diceva Louis Jean Lumière nel 1895. Una profezia al contrario, ora che proprio il cinema delle origini sembra dare linfa vitale all'immaginario di quella che un tempo si chiamava Settima Arte. Così, nel momento in cui la produzione cinematografica langue negli stabilimenti di Cinecittà che invece ospita molti programmi televisivi (come il Grande Fratello), ecco che i nuovi proprietari di quel glorioso marchio - nato negli anni in cui Mussolini sognava di far tornare Roma Caput mundi - investono 250 milioni di euro in un parco di divertimenti tematico dall'anglofono nome «Cinecittà World». E i paradossi linguistici e temporali si sprecano.
Ora che la cinematografia non è l'arma più forte, si va comunque a pescare nel passato di cento anni fa, giusti giusti. Perché all'ingresso del nuovo parco di attrazioni sorto a Castel Romano, alle porte della Capitale, ad accogliere i futuri visitatori (dal 24 luglio, prezzo massimo 29 euro) c'è il tempio di Moloch. Proprio il dio che voleva in sacrificio Cabiria nell'omonimo film di Giovanni Pastrone sceneggiato anche da Gabriele D'Annunzio: il primo kolossal italiano girato soprattutto a Torino, la città dove è nato il cinema in Italia molto prima che sorgesse Cinecittà...
E, mentre ci si riempie la bocca di tradizione e innovazione e di specificità culturali italiche, la loro declinazione passa attraverso la prosaicità di parole importate come vision, mission, asset... Perché, naturalmente, anche se dedicato alla Settima Arte, un parco di attrazioni è legato soprattutto alle regole del mercato e mira a produrre profitti. Così Luigi Abete, uno dei principali azionisti e presidente di Italian Entertainment Group (la società che gestisce Cinecittà Studios oggetto, pare nel 2015, di un rilancio per attrarre produzioni dall'estero) insieme a Andrea e Diego Della Valle, Aurelio e Luigi De Laurentiis e la famiglia Haggiag, espone la sua peculiare visione: «Tutti noi sappiamo che il nostro tempo libero è più grande del tempo occupato anche se quello libero è disorganizzato. Noi con la nostra offerta vogliamo organizzarlo per creare equilibrio nelle persone». Perché poi, in tempi di crisi, ci sono solo due strade per salvarsi: «Io le chiamo autostrade, una in uscita per l'internazionalizzazione del Made in Italy e una in entrata, con l'accoglienza dei turisti con entertainment di qualità».
Sarà, anche se intanto di veramente italiano a «Cinecittà World» sembra esserci molto poco. L'Italia che non crede in se stessa è una vecchia storia che ha pure stancato ma è curioso notare come in questa Cinecittàland niente riconduca direttamente all'immaginario che il nostro Paese ha prodotto. Così se uno pensa agli studi di via Tuscolana non può che associarli a Federico Fellini. Bene. Di lui neanche l'ombra. Anche se proprio in questi gloriosi studi che Dino De Laurentiis fece sorgere nel 1962 in mezzo al nulla, in piena campagna romana al chilometro 23,200 della strada Pontina oggi tra le più trafficate d'Italia (grazie alle facilitazioni che la Cassa del mezzogiorno elargiva fino a lì, a Pomezia), Fellini girò La voce della luna. Sarà sicuramente, come dicono gli organizzatori, «che si è lavorato su un immaginario artistico molto più ampio» e non ristretto come quello, ad esempio, dei parchi di Disney, però l'idea che le nostre eccellenze artistiche nel mondo - per dire l'horror di Dario Argento - non abbiamo neanche una citazione è un po' paradossale. Rimangono allora solo i ricordi di Aurelio De Laurentiis che da bambino passeggiava tra i due enormi teatri di posa accanto a Richard Burton e Elizabeth Taylor, la coppia del momento sul set di La bisbetica domata di Franco Zeffirelli. Ah la Hollywood sul Tevere! Ah la Dolce Vita! Ah il Neorealismo!
Poi di sicuro tutti riconosceranno, appena dopo l'ingresso di Cabiria, nella Main Street (ossia la strada principale), che gli edifici newyorchesi tra i quali si sta camminando sono quelli della Grande Mela degli anni Venti che Dante Ferretti ha ricostruito a Cinecittà per Gangs of New York di Martin Scorsese. È proprio lo scenografo premiato tre volte con l'Oscar a firmare le sontuose scenografie che decorano le attrazioni «indoor e outdoor» - come recitano i comunicati ufficiali - adatte a tutta la famiglia anche se per i minori di 12 anni sono sconsigliate quelle più acrobatiche e anche più sensazionali. Così come farà piacere ascoltare le note che Ennio Morricone ha scelto per il villaggio western dove, oltre alla miniera, alla chiesetta e al classico cimitero polveroso, c'è il Saloon Mezzoggiorno al fuoco il cui piatto principale scommettiamo sarà «spaghetti western».
Ma di tutto questo probabilmente il cliente-spettatore non si curerà poi tanto, perché a farlo contento sarà l'adrenalina promessa da Altair, una specie di montagne russe fantascientifiche con dieci inversioni a 360° fino a 35 metri di altezza e i 100 chilometri orario «che la posizionano tra le grandi attrazioni europee». E poi c'è Aktium che, omaggiando il genere peplum, dai 22 metri di altezza immerge i visitatori in onde d'acqua oppure Erawan, a metà tra i romanzi di Salgari e Tomb Raider, con le poltrone in caduta libera da 60 metri di altezza.
Così un tempo dove si girava Barabba di Richard Fleischer e La Bibbia di John Huston sono altre e molto diverse le emozioni prodotte. I tempi fortunatamente cambiano. Il cinema è un'invenzione con un suo futuro atipico. Magari esce dalla porta e rientra dalla finestra.
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