L'amore? È una libera schiavitù

L'amore? È una libera schiavitù

L'Amore presenta una controindicazione. Occorre essere in due non soltanto per «farlo», ma anche per trasformarlo da licenza poetica a consuetudine prosaica. Quando diciamo (ma anche se non lo diciamo è sufficiente pensarlo) «io ti amo», pronunciamo (o pensiamo), senza rendercene conto, due parole di troppo: «io» e «ti». Bando all'ipocrisia, «ti» è quella che presenta meno problemi: la destinataria o il destinatario del «ti» possono cambiare per mille e un motivo... e anche abbastanza rapidamente, non stiamo qui a sindacare sul perché e il percome. Il problema vero è dentro di noi, è quell'«io», il benedetto e maledetto pronome personale che è, tutto insieme, il nostro codice Iban e il nostro codice fiscale, la nostra carta d'identità, il nostro Dna e la nostra autobiografia racchiusa in una sillaba. Ma se dicessimo (o pensassimo) soltanto «amo», senza l'«io» e senza il «ti» non saremmo uomini e donne: saremmo organismi unicellulari, e il nostro «amo» equivarrebbe a «voglio vivere».
In Amore, insomma, più che le conseguenze contano le premesse. Che sono paradossali, e non potrebbero non esserlo. Ma anche nel suo sviluppo, individuale e storico, l'Amore, coerentemente, continua a esserlo, paradossale. Almeno l'Amore fra due persone, l'Amore «basico», il motore del mondo. Ce lo ricorda (o lo spiega a chi - beato lui o lei - non ci ha mai pensato o non se n'è mai accorto) Pascal Bruckner nel saggio Il paradosso amoroso (Guanda, pagg. 224, euro 20, traduzione di Leila Beauté). Il campo d'indagine del filosofo e romanziere francese, già autore di Il matrimonio d'amore ha fallito?, con quel punto di domanda volutamente retorico, è il mondo occidentale degli ultimi tre secoli e spiccioli. Diciamo dalla Rivoluzione francese in poi. E basta leggere in che modo l'abito mentale giacobino spogliasse l'Amore con l'intento, invero molto conservatore, di lasciarlo nudo di fronte agli obblighi della famiglia neo-borghese malgré soi, per capire in che cosa consista l'assurdità. Cambiare tutto per non cambiare niente, il gattopardismo che s'infila, felinamente, nel talamo nuziale e non ne esce più... La presa della Bastiglia come la presa della pastiglia per il classico mal di testa accampato dalla moglie annoiata dal marito. La decapitazione degli aristocratici come il coitus interruptus che tenta, invano, di deviare il corso del peccato.
In questo senso i «figli dei fiori» cresciuti sul terreno fin troppo fertile di un altro secolo, quello appena trascorso, sono in tutto e per tutto i pronipoti di Robespierre & Co. La rivoluzione sessuale, la negazione del rapporto di coppia, le ammucchiate, i ricostituenti lisergici assunti per tornare all'atavica dimensione panica comune alle bestie in calore, furono l'esatto corrispondente simmetrico del bacchettonismo di allora. Anche qui, si cambia tutto per non cambiare niente. Beh, proprio niente no: il divorzio, la contraccezione e la parità dei sessi (mai comunque raggiunta appieno, com'è evidente a tutti) furono e sono i cascami positivi, a parere di una maggioranza tutt'altro che silenziosa, di quell'euforica stagione. Ma, come la Rivoluzione francese e quelle che a essa s'ispirarono non seppe liberarsi del libertinismo, così l'imperante promiscuità imposta da un altro «prodotto» made in France, il Maggio radioso, e dall'autunno californiano, si risolse in una Restaurazione familistica.
Perché l'Amore, in fondo, è un trasformista: quando si presenta in forma di truce dittatore, pare prometterci la libertà della passione univoca e perenne («ti amerò per sempre»); e quando, per contro, assume i connotati del pifferaio magico, ci getta nel burrone della norma («basta, torno da mia moglie» o «da mio marito»). Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, fa notare Bruckner, sono il paradigma del paradosso amoroso. Aperti a tutto e chiusi in se stessi, avventurosi e grigi, cinici e fedeli. Un colpo al cerchio dell'anticonvenzione sociale e uno alla botte del tran tran domestico. Rainer Maria Rilke, che era di tutt'altra pasta rispetto a quei due, poeticamente pervenne alla stessa conclusione quando scrisse, con perfetta sintesi, che «essere amato è svanire, amare è durare». Cioè, se «io» amo svanisco nell'Amore che provo, mi ci annullo, ma se invece amano «me» continuo a vivere. Per questo, due continua a essere il numero perfetto: con una mano dare, con l'altra prendere.
Il patto di mutua assistenza, tuttavia, regge soltanto se corroborato dalla reciproca onestà (intellettuale, affettiva, carnale...).

Altrimenti, ecco che François de La Rochefoucauld, seduto in salotto fra «lui» che guarda una partita alla tv pensando alla collega carina e «lei» che sfoglia una rivista pensando all'idraulico simpatico, alza il suo ditino ingioiellato e li ammonisce: «Lo sforzo che si fa per restar fedele a chi si ama non vale molto di più di un'infedeltà».

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