Le letture irregolari di Henry Miller, scrittore irregolare

Le letture irregolari di Henry Miller, scrittore irregolare

Henry Miller (1891-1980) era uno scrittore disciplinato e un lettore onnivoro, in ogni sua opera (anche in quelle narrative) si avverte una riflessione continua sul proprio lavoro e un'incessante revisione dei processi che trasformano la vita in letteratura. Tuttavia era un tipico rappresentante di intellettuale americano un po' selvatico, alla Whitman o alla Thoreau, diffidente verso il modello d'istruzione codificato. Nelle sue pagine non perdeva mai l'occasione di ribadire che la vita ha il primato su tutto il resto e che tra vita e letteratura bisognasse senza indugi scegliere la prima. Quindi, nel momento in cui l'amico e bibliofilo Lawrence Clark Powell gli suggerì di provare a scrivere un «libretto sulle (sue) esperienze con i libri», Miller fece finta di niente e cambiò discorso, ma quel germe d'idea gli crebbe poi dentro fino a convincerlo a provarci. Il risultato del tentativo sta tutto dentro I libri nella mia vita (Adelphi, pagg. 414, euro 24), uscito nel 1952. I saggi che compongono il volume si concentrano su autori oggi ancora noti, come i francesi Blaise Cendrars e Jean Giono, e su altri che invece non dicono più nulla al lettore contemporaneo (lo scrittore inglese d'avventura Rider Haggard). I capitoli più riusciti sono quelli che non prendono in esame un singolo autore, ma che restano su toni più generali: il sesto, Influenze , fornisce al lettore una interessante genealogia del Miller scrittore. Com'è prevedibile è una lista di grandi irregolari, che comprende Boccaccio, Rabelais, Whitman, Emerson, Thoreau, Nietzsche, Dostoevskij, Knut Hamsun, D.H. Lawrence, Joyce, Lewis Carroll, Rimbaud, Van Gogh, Céline e perfino il ballerino russo Vaslav Nijinsky (il cui Diario aveva incantato molti altri scrittori). Il tratto comune degli autori venerati da Miller è, com'è prevedibile, l'assenza di prudenza, l'assenza di controllo, l'inclusione di ogni aspetto della vita vera sulla pagina scritta.

Se il lettore di oggi ha in mente l'Henry Miller strabordante e «maleducato» dei suoi classici narrativi, la lettura di questo volume gli svelerà invece un Miller assai diverso, arguto e pungente solo a tratti. Il suo noto odio per Shakespeare compare qua e là, gettato con nonchalance in mezzo agli elogi sfrenati per gli altri tragici elisabettiani. La sua stroncatura di Thomas Mann (dapprima adorato e poi, una volta pienamente compreso, rigettato) è ridotta a un aneddoto in cui Miller tenta di convincere un amico della grandezza del grande tedesco leggendogli a voce alta la novella Morte a Venezia solo che, man mano che la lettura procede, Miller avverte che Mann gli si sta sgretolando davanti agli occhi.

Più che per i consigli appassionati, il libro si gusta per il ricorso abbondante alle vicende autobiografiche dell'autore: la New York della sua infanzia, la frequentazione dei burlesque e dei teatrini d'avanspettacolo, il rapporto ondivago con i

genitori, le discussioni senza fine con i coetanei dell'adolescenza, i ritratti di alcuni «maestri» che altro non erano che persone ordinarie con cui era entrato in contatto anni prima, fossero essi letterati o semi-analfabeti.

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