Un tweet. Quattro date. Una in fila all'altra. Il 7 dicembre 1941. Il 22 novembre 1963. L'11 settembre 2001. E il 6 gennaio 2021. L'indomani del blitz a Capitol Hill da parte di esagitati seguaci di Donald Trump, Alan Friedman ha affidato a un post semi muto, ma molto eloquente, il commento all'ultima puntata dell'addio alla Casa Bianca del tycoon. Si è parlato in lungo e in largo di un attacco alla democrazia. E così, seguendo questa scia di pensiero, il giornalista avrebbe accostato la pantomima dello "sciamano" Jake e degli ultrà in cerca di selfie e trofei - che, in un modo o nell'altro, è comunque costata vita a cinque persone, una delle quali ammazzata a bruciapelo - a quattro drammatici momenti (forse i peggiori) della storia americana: il brutale attacco condotto da una flotta di portaerei della Marina imperiale giapponese alla United States Pacific Fleet e le installazioni militari statunitensi di Pearl Harbor che si trovavano nell'arcipelago delle Hawaii; l'assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy mentre sfilava con la moglie Jacqueline per le vie di Dallas; gli attentati di al Qaeda alle Torri Gemelle. Un paragone avventato? Un'esagerazione? Probabilmente sì. Ma obbliga comunque a più di una riflessione.
December 7, 1941
— Alan Friedman (@alanfriedmanit) January 7, 2021
November 22, 1963
September 11, 2001
January 6, 2021
Per due volte nella sua storia, l'America si è trovata il nemico in casa. Il 7 dicembre 1941 e l'11 settembre 2001, come giustamente nota Friedman. Ma pure, anche se pochi lo ricordano, il 7 maggio del 1915. Quel giorno, infatti, il transatlantico britannico Lusitania fu affondato dai tedeschi. A bordo c'erano non solo parecchi cittadini americani, ma anche molto materiale bellico. Secondo molti - che però forse ne amplificano la portata - questo evento determinò la discesa in campo degli Usa nella Prima guerra mondiale. In questo caso, come negli altri citati dal giornalista, gli Stati Uniti si sono lasciati prendere alla sprovvista e la reazione, per molti versi, è stata scomposta. Il clima che si è venuto a creare dopo il bombardamento di Midway rivive nelle pagine scritte da James Ellroy ormai sette anni fa. Perfidia (Einaudi) che - insieme a Questa tempesta (sempre Einaudi), andrebbe riletto nuovamente oggi - è un romanzo "triste e malinconico" perché, come ammette lo scrittore stesso, è "imbevuto di quel tradimento morale che è stato, in America", cioè l'internamento dei cittadini giapponesi all'inizio della Seconda guerra mondiale.
Il titolo viene dalla canzone Perfidia di Glenn Miller che, in spagnolo, significa proprio tradimento. Un tradimento che, negli occhi dello scrittore americano, non investe soltanto la politica, ma anche la storia stessa degli Stati Uniti e quindi i suoi principi di libertà. L'omicidio della famiglia Watanabe a Los Angeles diventa così l'occasione per raccontare l'odio razziale, le trame della Quinta Colonna, i rastrellamenti di 120mila giapponesi, che vivevano in California ("Un’ingiustizia di merda verso tanti innocenti"), e i soldi sporchi fatti da poliziotti corrotti e malavitosi cinesi per "proteggere" le stesse persone che avrebbero dovuto internare.
Con questo male gli americani vissero a lungo e non ne ebbero mai abbastanza. Tanto che, a guerra pressoché finita, vollero definitivamente umiliare il Giappone con due devastanti attacchi atomici. Il 6 agosto 1945, poco dopo le 8 del mattino, fu asfaltata Hiroshima. Tre giorni dopo tocò a Nagasaki. Il mondo guardò senza fiatare l'uso di queste armi di distruzione di massa (la prima e per il momento unica volta nella storia) che uccisero tra 100mila e 200mila persone (quasi tutti civili). D'altra parte, come ricorda lo stesso Ellroy all'inizio di Questa tempesta, "solo il sangue muove le ruote della storia". Parole prese in prestito da Benito Mussolini.
Il racconto di quei momenti drammatici e, soprattutto delle vicende che portarono ad essi, è fornito da La bomba, la graphic novel di Didier Alcante, Laurent-Frédéric Bollée e Denis Rodier pubblicata recentemente da L'Ippocampo. "In principio non c'era nulla. Ma in quel nulla c’era già tutto!", si legge nell'incipit del libro. Un inizio che quasi ribalta il Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo e il verbo era presso Dio". Con l'atomica non c'è più spazio per questo. C'è solamente il vuoto. Il nulla. "In pincipio non c'era nulla. Ma in quel nulla c'era già tutto".
La bomba è un'opera corale perché corale è la strada che ha portato alla strage di Hiroshima e Nagasaki. Ci sono i volti e le storie di Einstein, Enrico Fermi, il presidente Harry S. Truman, Julius Robert Oppenheimer e il generale Leslie Grove, il capo del progetto Manhatan. Strade diverse che, a un certo punto, si sono unite per fondersi nella bomba. Non una bomba. Ma la bomba. Quella che ha cambiato il corso della storia. Quella che in pochi secondi ha sancito la fine di un conflitto - la Seconda guerra mondiale - e ne ha aperto un altro. Non c'era alcun motivo per sganciare l'atomica su Hiroshima e Nagasaki. Se non uno: inviare un messaggio all'Unione sovietica e iniziare così la Guerra fredda.
Ventidue anni dopo, un altro attacco. Questa volta in patria. A Dallas. Ci sono John e Jacqueline Kennedy: sfilano in un corteo di automobili "dentro il fuoco del mezzogiorno". In Libra (Einaudi), un altro romanzo da leggere e rileggere, Don DeLillo fissa quello che per il New Yorker è "il fotogramma di un istante tremendo". Un fermo immagine: Lee Harvey Oswald che dalla vetrata del Texas School Book Depository spara al presidente Kennedy. La Lincoln è scoperta.
La traiettoria è precisa, taglia l'aria densa e calda e segue il bagliore di lampo che cambierà il destino del mondo portandosi dietro di sé un alone di mistero che la commissione Warren e la United States House Select Committee on Assassinations (HSCA) non riusciranno mai a dipanare. Perché Oswald è solo un burattino. E non è nemmeno l'unico a far fuoco. Questo è certo. In quel momento l'America, lacerata da una guerra interna tra la politica, frange deviate della Cia ed esuli cubani anticastristi ancora feriti dalla figuraccia fatta alla Baia dei Porci, perde un altro pezzo di sé. La guerra è in casa e rischia di destabilizzare l'intero impianto democratico.
Se, però, oggi dobbiamo realmente pensare a un attacco all'America, probabilmente nell'immaginario di chiunque si materializzano le immagini delle Torri Gemelle che si sgretolano sotto i colpi dei due aerei lanciati dall'odio islamista. La fuligine che ricopre New York. Il dramma in mondovisione. Il male in diretta tivù. Ognuno di noi a boccheggiare, a sentire il crepitio delle fiamme, a pregare per quegli uomini che, per fuggire dall'incendio, si gettano giù dal grattacielo. L'odio contro la furia jihadista. "Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità", racconta DeLillo nel bellissimo L'uomo che cade (Einaudi). "Cerano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa - si legge nell'incipit del romanzo - avevano fazzoletti premuti sulle bocche. Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano. Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati, fra i detriti che scendevano tutt’intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili". L'orrore. Ce lo ricordiamo. È ancora stampato nei nostri occhi. Fa ancora male.
"Nell’aria c’era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo - scrive ancora DeLillo - il mondo era questo, adesso. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formati standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti soprannaturali nel sudario del mattino". L'America avvolta nel suo sudario.
Le immagini dei soldati della Guardia nazionale mentre dormono all'interno del Campidoglio mostrano che gli Stati Uniti oggi sono deboli.
Ed è per questo che i suoi soldati vengono schierati in patria (a Washington in questi giorni ce ne sono oltre 20mila) al posto che all'estero (attualmente si contano solamente 5mila uomini in Afghanistan). E c'è chi invoca con ansia il Boogaloo. La seconda guerra civile americana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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