Ci siamo. La più grande mostra italiana dell'anno sta per partire. La Fondazione Musei Civici Veneziani ospiterà dal 24 aprile al 18 agosto 2013 la mostra "Edouard Manet. Ritorno a Venezia". E saranno le sale monumentali di Palazzo Ducale il teatro di questo atteso arrivo dei lavori dell'artista francese in laguna.
Un'attesa spasmodica e trepidante che oggi è diventata realtà grazie alla collaborazione del Musée d'Orsay di Parigi, l'istituzione che conserva il maggior numero di capolavori di questo straordinario pittore. Questo imperdibile appuntamento per i veneziani e i milioni di turisti che affollano la città più bella del mondo sarà la giusta occasione per approfondire il legame indissolubile tra la sua pittura e quella italiana del Rinascimento, in particolar modo quella veneziana. Ecco perché "ritorno a Venezia".
Curata da Stéphane Guégan, con la direzione scientifica di Guy Cogeval e Gabriella Belli, sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica, la mostra si propone come un autentico evento: mai la pittura di Manet è stata presentata in maniera così significativa in Italia, e mai è stato affrontato sul piano critico un aspetto così peculiare della sua arte.
Si potrà quindi osservare da vicino la celebre "Olympia", l'olio su tela di grandi dimensioni dipinto nel 1863 e raffigurante una prostituta semidistesa sul letto di una casa di tolleranza, e la "Venere d'Urbino" di Tiziano, l'olio su tela dipinto dal maestro veneziano rappresentante la sensuale dea prestato per l'occasione dalla Galleria degli Uffizi di Firenze.
L'esposizione sarà composta da un'ottantina circa tra dipinti, disegni e incisioni che immerge il visitatore in un approfondimento critico sui modelli culturali che ispirarono il giovane Manet negli anni del suo precoce avvio alla pittura. Questi modelli, fino ad oggi quasi esclusivamente riferiti all'influenza della pittura spagnola sulla sua arte, furono diversamente assai vicini alla pittura italiana del Rinascimento, come dimostrerà l'esposizione veneziana.
Il pubblico potrà ammirare, accanto ai suoi capolavori, alcune eccezionali opere ispirate ai grandi tableaux della pittura veneziana cinquecentesca, da Tiziano a Tintoretto a Lotto in particolare. Gli studi su Manet, il grande precursore dell'Impressionismo, si sono per lungo tempo concentrati sull'idea di una sua diretta discendenza dall'opera pittorica di Velázquez e di Goya, vedendo proprio nell'ispanismo non solo l'unica fonte della sua modernità, ma anche la ragione e lo stimolo per il suo rifuggire dai "ritorni" alla tradizione accademica.
Un approccio per così dire progressista, che non tiene però conto della passione di Manet per l'arte italiana della Rinascenza, che fu una fascinazione e un legame davvero intenso, di cui darà piena dimostrazione l'esposizione veneziana, che metterà finalmente in luce il suo rapporto stringente con l'Italia e la città lagunare.
Se Le Déjeuner sur l'herbe e l'Olympia (1863) sono chiaramente variazioni da Tiziano e due splendide testimonianze della relazione di Manet con l'arte italiana, ancora molti sono gli esempi della profonda conoscenza dell'eredità di Venezia, Firenze e Roma, da parte del grande pittore, che la mostra saprà svelare. L'itinerario dell'esposizione, che percorre, attraverso grandi capolavori come Le fifre (1866), La lecture (1865-73), Le balcon (1869), Portrait de Mallarmé (1876 ca.), tutta la sua vita artistica, si apre con una serie di libere interpretazioni di antichi dipinti, affreschi e sculture che Manet vide durante i suoi due primi viaggi in Italia, nel 1853 e nel 1857.
Immediata risplende l'influenza veneziana, inseparabile dall'audacia con la quale il pittore sonda le istanze contemporanee e si defila dalle convenzioni accademiche. L'Italia del resto non è assente neppure nei dipinti di Manet più legati alla Spagna: la sua pittura religiosa si nutre tanto di Tiziano e Andrea del Sarto quanto di El Greco e Velázquez.
Le sue silenti nature morte, dietro alla fedeltà alle formule olandesi, riservano molte sorprese che non solo rimandano alla tradizione nordica, ma sembrano anche ispirarsi a un vigore cromatico e costruttivo tutto italiano. Quando il pittore si avvicina definitivamente alla "moderna" Parigi, la sua pittura non tralascia la memoria italiana, ma ne resta intrisa di ricordi. Le tele di Lotto e di Carpaccio, pensiamo alle Due dame veneziane affiancate in mostra a Le Balcon, racconteranno di questi legami ai visitatori.
Il 1874, anno della I° Esposizione dei Pittori Impressionisti, è anche quello del terzo viaggio in Italia di Manet, dove ritrova anche la città amata da Turner e Byron, che immortala in due piccole tele, raffiguranti il Canal Grande. E anche nel suo celebre Bal masqué à l'Opéra (ora a Washington), rifiutato quell'anno dai giurati del Salon parigino, risuonano le musiche degli amori mascherati e del gioco ambiguo dell'identità, che sicuramente ha conosciuto attraverso l'opera del veneziano Pietro Longhi. Il terzo momento italiano della sua carriera parla delle ultime esperienze di un artista, che la morte stronca a soli 51 anni (1883).
Il progetto è stato reso possibile grazie non solo ai prestiti eccezionali del Musée d'Orsay, ma anche di tante altre istituzioni internazionali, come il Metropolitan Museum di New York, la Bibliothèque Nationale de France, il Courtauld Institute di Londra, The Museum of Fine Arts di Boston, The National Gallery di Washington, l'Art Institute di Chicago, il Musée des Beaux-arts di Digione, il Musée di Grenoble, il Musée des Beaux-arts di Budapest, lo Städel Museum di Francoforte, che hanno aderito all'evento insieme a numerosi collezionisti privati.
Ma il progetto è stato reso possibile anche grazie a tanti main sponsor come il gruppo Starhotels che vanta a Venezia un hotel di prim'ordine, lo Starhotels Splendid Venice, recentemente restaurato e situato a pochi passi da piazza San Marco con stanze spettacolari affacciate sui tetti della città lagunare e sapientemente diretto dal general manager Salvatore Pisani data la sua lunga esperienza nei grandi alberghi di tutto il mondo: 165 camere tra cui 16 suite, alcune con balconcino arredato e affacciate su San Marco, il Campiello, tipica corte veneziana con una copertura apribile, la Sala della Musica, la Media Room, la Biblioteca. "Un successo che premia un lavoro di anni e 13 milioni di euro di investimenti fatti per riportare allo splendore lo Starhotels Splendid Venice", ha dichiarato Elisabetta Fabri, presidente e amministratore delegato di Starhotels.
Dal 1980 è la catena più italiana che ci sia, con proprietà e gestione in mano alla stessa famiglia: capitanato da Elisabetta Fabri il gruppo Starhotels conta 22 alberghi per un totale di 3.726 stanze, con un forte radicamento nel cuore delle grandi città italiane, ma anche con due brillanti avamposti nella capitali del turismo all'estero come New York e Parigi.
In un panorama alberghiero fatto in Italia da piccoli proprietari indipendenti e da catene spesso passate in mano straniera (come i Ciga Hotels da tempo passati agli americani di Starwood, o i Jolly Hotels più recentemente acquisiti dagli spagnoli di NH), è veramente un'eccezione il gruppo Starhotels, che continua nella sua strategia fatta di piccoli passi nella giusta direzione e nella valorizzazione di un patrimonio alberghiero unico e anche promuovendo il patrimonio culturale e artistico internazionale. Anche Manet ringrazierebbe.
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