Una marcia per la libertà dei popoli e delle minoranze oppresse

Sabato 8 ottobre a Roma e a Parigi si terrà la IX "Marcia per la libertà dei popoli oppressi e delle minoranze". Un grido d'allarme per scuotere le coscienze e aiutare chi non ha voce

La VII edizione della Marcia della Libertà
La VII edizione della Marcia della Libertà

I motivi possono essere i più svariati: politici, religiosi, razziali ed economici. La lista dei popoli e delle minoranze oppresse nel mondo è impressionante: cristiani, tibetani, cambogiani, iraniani, khmer kampuchea krom, curdi, laotiani, siriani, uyghuri, vietnamiti, venezuelani, yazidi, armeni, etiopi. Per ricordarlo sabato 8 ottobre Società Libera (associazione di cultura liberale), i Radicali italiani e le Comunità delle minoranze e dei popoli oppressi hanno organizzato una "Marcia internazionale per la libertà". Anzi, le marce sono due: una è in programma a Roma, alle ore 16.00 (da Piazza Mazzini a Castel Sant’Angelo), l'altra a Parigi alle 14.00 (da Place de la Bastille a Place de la République). L'invito rivolto ai cittadini è quello di ritrovarsi in piazza per denunciare il peggioramento della condizione della libertà e dei diritti umani nel mondo: in oltre metà dei Paesi a centinaia di milioni di persone è negata o limitata la libertà politica, religiosa, economica e sono negati i diritti sociali e civili. A Vincenzo Olita, presidente di Società Libera, abbiamo chiesto di spiegare il senso di questa iniziativa, giunta quest'anno alla nona edizione.

Che tipo di marcia sarà quella di sabato?

Si snoderà silenziosamente per le vie di Roma e di Parigi. L'appuntamento vuole essere un'occasione di riflessione sullo stato della libertà e dei diritti individuali nel mondo, tema che dovrebbe essere centrale e vicino agli ambienti culturali prossimi al liberalismo, ma che trova profondo disinteresse anche nella galassia liberale del Paese, abituata com'è ad una considerazione quanto mai domestica del tasso di libertà. La condizione di oppressione di popoli e minoranze quali tibetani, uyghuri, vietnamiti, cambogiani, krom, laotiani, kurdi, indios amazzonici, yazidi, minoranze cristiane e venezuelani, ultimi aggiunti ma non meno soffocati da un antistorico regime, difficilmente scuote le coscienze e l'interesse mediatico.

Il vostro è anche un atto di accusa anche contro l'Occidente?

L'Occidente, e con esso una sempre più declinante Europa, continua a rimanere inerte, prevalgono retoriche e generiche affermazioni di principio. "Costruire un mondo che abbia come fondamento il rispetto dei diritti umani" o "i diritti umani continueranno ad essere al centro della politica di allargamento dell'Ue", sono dolci e piacevoli espressioni, tratte da un documento del Consiglio dell'Unione europea, che tanto ricordano la suggestiva frase "un mondo migliore è possibile" particolarmente amata da Fidel Castro. Resta il fatto che se nel ventunesimo secolo le libertà fondamentali continuano ad essere negate o limitate, qualcosa non funziona a livello delle relazioni internazionali. La tanto declamata difesa delle libertà individuali, dell' autodeterminazione dei popoli, della dignità delle persone, in nome di una malintesa realpolitik, è sempre subordinata a priorità di tipo politico, economico e commerciale. Ma le istituzioni internazionali non dovrebbero considerare secondario e di basso profilo la salvaguardia dei diritti Umani nei rapporti tra gli Stati sullo scacchiere mondiale.

"Il pianeta ha fame di libertà" è il tema di un convegno che avete organizzato l'anno scorso. Continuate a battere su questo punto?

È necessario nutrire il pianeta con la libertà politica che è presupposto per la stabilità e la coesistenza. Il mondo non sarà in pace fin quando assetti politici, unità, omogeneità territoriale ed identità dei popoli saranno imposti. Occorre nutrirlo con la libertà economica e la libera iniziativa, se vogliamo assicurare sviluppo e superamento di criticità e deficit a cominciare da quello alimentare, il mondo necessita di creazione di valore, se si vuole rispondere alle aspettative, ai bisogni e ai sogni di popoli e persone. Occorre assicurare la libertà religiosa e linguistica, fondamentali elementi per la salvaguardia delle rispettive identità; a conferma, l'accanimento contro le chiese cristiane in Medio Oriente, la precarietà di quelle ortodosse in Kossovo, la distruzione dei monasteri in Tibet - l'ultimo, nello scorso luglio, quello di Larung Gar tra i principali centri di studi buddisti - a seguito della quale due monache si sono immolate, e siamo a circa duecento suicidi in otto anni, nell'oblio quasi assoluto dei media occidentali.

Il vostro appello viene lanciato da Roma e da Parigi, il cuore dell'Europa...

Sì, è un appuntamento silenzioso per riflettere e testimoniare l'impegno delle genti d'Europa, soprattutto per richiamare l'attenzione della dirigenza politica europea sulla necessità di dare segnali concreti.

Il primo potrebbe essere l'instaurazione della Giornata europea per la libertà dei popoli e delle minoranze oppresse, un primo passo non particolarmente coraggioso, considerando che celebriamo già la Giornata internazionale del cane, ma forse significativo come segnale.

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