"Nichilista" e "immorale". Così Beckett e Nabokov furono bocciati al Nobel

"Nichilista" e "immorale". Così Beckett e Nabokov furono bocciati al Nobel

Puntualmente, ogni anno tra fine settembre e inizio ottobre parte nelle redazioni dei giornali il tormentone del «toto-Nobel per la Letteratura». Puntualmente, ogni anno alla proclamazione del vincitore seguono le impettite righe della «motivazione» che, aggettivo più, aggettivo meno, è sempre buona per tutte le stagioni. Puntualmente si scopre che nessuno ha azzeccato il nome giusto, che si tratti di un big o di un pressoché sconosciuto. Puntualmente, insomma, ci viene servito un piatto freddo come la Svezia e la sua Accademia reale, i cui membri scelgono chi coronare idealmente d'alloro.

Per assaporare il calore del sale, e soprattutto del pepe, dobbiamo avere molta pazienza. Dobbiamo aspettare mezzo secolo. Perché 50 anni dopo l'assegnazione del premio vengono desecretati, manco fossero i documenti del KGB o della CIA, i verbali delle sedute in cui gli esimi professori hanno discusso e si sono, anche se accademicamente, accapigliati. E a volte saltano fuori particolari sfiziosi, il sale e il pepe del gossip letterario, appunto. Così, nei primi giorni del 2012 si seppe che nel 1961, quando a vincere fu Ivo Andric, l'autore de Il ponte sulla Drina, J.R.R. Tolkien, che era della partita insieme a Lawrence Durrell, Robert Frost, Edward Morgan Forster, Graham Greene e Alberto Moravia, risultò bocciato in quanto la sua era considerata «prosa di seconda categoria». E ora apprendiamo che nel 1963 ci furono ben cinque trombati eccellenti, sul tavolo delle trattative da cui scaturì il nome di Giorgos Seferis: oltre a Wystan Hugh Auden, Yukio Mishima e Pablo Neruda (che si rifarà dieci anni dopo), ecco Samuel Beckett (poi «risarcito» nel '69) e Vladimir Nabokov.

Assurda la messa in mora dell'irlandese: «troppo nichilista». Scandalosa quella del russo già abbondantemente americanizzatosi: «immorale». Come se la letteratura «grande» e «alta» non fosse anche, spesso e volentieri, «nichilista» e «immorale», come se la letteratura fosse qualcosa che sta fra l'educazione civica e l'agiografia. Come se, fra l'altro, l'anno prima, nel '62, non avesse portato a casa l'ambito (e, diciamolo pure, oltremodo ambizioso) premio John Steinbeck, con la sua «percezione sociale acuta»... Altro che acuta: una mitragliata di pugni nello stomaco sono i suoi libri, in cui «nichilismo» e «immoralità» cadono a fagiolo.

Il sale e il pepe, come l'altra volta, ce li regala il giornale svedese Svenska Dagbladet. Che omette tuttavia di ricordare un particolare interessante. Nel '63 fra i papabili figurava Charles de Gaulle, all'epoca presidente della repubblica francese, con il suo equipaggiamento pesante di opere militari e di libri di guerra.

Lì non furono rinvenute tracce di «nichilismo» e «immoralità», però a bagnare le polveri del generale furono le polemiche di dieci anni prima, quando a vincere il Nobel era stato Winston Churchill per la sua Storia della seconda guerra mondiale. Gli accademici svedesi amano il quieto vivere almeno quanto la letteratura.

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