Gli ospedali dell'arte ferita

Lo chiamano l'ospedale delle opere d'arte ferite. Perché il deposito di Santo Chiodo, alla periferia di Spoleto, è un luogo di ricovero e una clinica

Gli ospedali dell'arte ferita

Lo chiamano l'ospedale delle opere d'arte ferite. Perché il deposito di Santo Chiodo, alla periferia di Spoleto, è un luogo di ricovero e una clinica. Qui vengono portate, curate e riportate a nuova vita le statue, i dipinti e ogni tipo di opera d'arte danneggiata dalle calamità naturali - terremoti, alluvioni, smottamenti, frane -, eventi tutt'altro che rari dalle nostre parti. Con i suoi 5mila metri quadrati, è in pratica un enorme capannone a più locali e allo stesso tempo un'enciclopedia dell'arte che custodisce circa 7mila manufatti. C'è di tutto: pale d'altare, statue in marmo, in legno, in terracotta, crocifissi, paramenti liturgici, tessuti, arredi sacri, colonne, rosoni, campane. Senza dimenticare 250 cassette con porzioni di affreschi e frammenti. Al suo interno ci sono laboratori di restauro e tecnici e dal 2017 - grazie alla collaborazione tra Soprintendenza dell'Umbria e Opificio delle Pietre Dure - nel deposito opera il laboratorio di messa in sicurezza, il pronto soccorso delle opere d'arte.

In Italia, i luoghi modellati sull'esempio del deposito di Santo Chiodo - che fa da esperienza pilota - sono in realtà 34, dislocati principalmente nelle quattro regioni dell'Italia centrale: 14 nelle Marche, 3 in Umbria, 9 nel Lazio, 8 in Abruzzo. Ma l'obiettivo è di avere un «ospedale» in ogni regione. Per riuscirci servono i soldi del Pnrr, 300 milioni, e per questo il Ministero della Cultura ha messo a punto e presentato in maggio un corposo documento di 150 pagine contenenti i requisiti, le linee guida, secondo cui tutti gli «ospedali» dell'arte dovranno lavorare.

Il deposito di Santo Chiodo, il progetto considerato un riferimento per tutta Italia, è attivo dal 2012, sulla base delle esperienze iniziate con il terremoto in Umbria del 1997. Il direttore del centro - di proprietà della Regione - è Giovanni Luca Delogu, che ne spiega struttura e funzionamento. «In un primo ambiente abbiamo creato il vero pronto soccorso, dove arrivano i frammenti e le opere ferite, e dove viene effettuato un primo intervento che chiamiamo di depolverizzazione. Qui le opere vengono messe in sicurezza e si effettua una prima catalogazione».

MURA E MACERIE
La sala d'emergenza è in questo momento «occupata» da un'opera gravemente danneggiata: è l'iconostasi della Chiesa San Salvatore a Campi, frazione di Norcia. Della Chiesa non è rimasto nulla, solo un cumulo di macerie. Sono crollate le volte, l'iconostasi e la facciata. Solo le mura perimetrali sono rimaste in piedi. Da quelle macerie, le squadre del deposito hanno effettuato un lavoro certosino di recupero di migliaia di frammenti.
«Dal primo ambiente di scarico e accoglienza, a seconda delle condizioni in cui versa il bene - prosegue Delogu - le opere vengono indirizzate o al laboratorio per la messa in sicurezza o al deposito». Dei 7mila pezzi custoditi a Santo Chiodo, gran parte sono stati già restaurati, ma non possono essere ancora riconsegnati perché la sede di provenienza ancora non è agibile. «È un lavoro continuo - racconta Delogu - perché frammenti e pezzi raccolti durante la rimozione delle macerie arrivano ancora oggi».

Il lavoro è davvero minuzioso, i pezzi vengono raccolti e messi con pazienza in ordine. «È un po' come giocare con il Lego - scherza Delogu - per alcune opere si tratta di fare una ricostruzione architettonica e tridimensionale. Per opere come gli affreschi, invece, sembra di dedicarsi a un puzzle».

Al centro della seconda stanza svetta una pala di Iacopo Siculo, una delle opere più importanti della Valnerina, datata 1541. Custodita nella chiesa di San Francesco di Norcia, dopo le scosse sismiche è stata imbracata e portata via con un elicottero dai Vigili del Fuoco. Schiacciata dalle macerie, aveva subito danni soprattutto nella centina, mentre la tavola dipinta era stata graffiata dalle travi. «In sei mesi abbiamo effettuato un restauro storico-artistico importante, e ora la Pala è pronta per essere restituita». Nella stessa stanza si trovano anche altari, organi in legno, una Madonna in terracotta.

L'EMOZIONE DEL SALVATAGGIO
Il terzo ambiente è occupato da enormi rastrelliere a cui sono appese centinaia di opere, mentre nell'ultima stanza è stato creato una sorta di set fotografico per la catalogazione e un box ad atmosfera modificata, dove tutte le opere passano per combattere tarli, funghi, muffe. All'interno del deposito sono previste anche visite guidate. «La nostra attività ha anche una ricaduta formativa importante - dice Delogu, storico dell'arte e direttore dal 2019 -. Ne approfittano soprattutto restauratori e studiosi. Ma non solo. Qui vengono tanti studenti per le loro tesi di laurea, anche tanti semplici cittadini che vogliono vedere le opere a cui lavoriamo e che ancora non sono tornate nei luoghi di provenienza».
Una parte dei fondi del Pnrr andrà anche al deposito di Santo Chiodo, servirà per l'ampliamento della struttura. «In futuro avremo altre due sedi, una qui accanto per le opere più grandi, come le campane e gli elementi architettonici in pietra - conclude Delogu - e un'altra sede in centro a Spoleto destinata a ospitare oggetti di oreficeria e arredi».
A giocare un ruolo di primo piano nel deposito è l'Opificio delle pietre dure di Firenze, uno dei maggiori istituti di restauro italiani.

«L'attività di messa in sicurezza - spiega Oriana Sartiani, funzionario restauratrice - è uno degli impegni più importanti per l'Istituto. A Spoleto abbiamo cercato di replicare il modello condiviso con l'Istituto Centrale di Restauro di Roma per il deposito-laboratorio di Sassuolo, in prima linea dopo il sisma dell'Emilia-Romagna nel 2012, che si era dimostrato particolarmente positivo».

Sartiani, diplomata alla Scuola di Alta Formazione dell'Opificio, per 12 anni restauratrice del settore dipinti su tela e tavola presso la Soprintendenza di Arezzo, prima di ritornare all'Opificio, si emoziona nel raccontare la sua esperienza. «Ho lavorato a opere di rara bellezza, come la Pala di San Zeno a Verona di Andrea Mantegna, il Ritratto del Cardinale Guido Bentivoglio di Antoon Van Dyck, il Ritratto di Papa Leone X con i due cugini cardinali, di Raffaello, conservato nella Galleria degli Uffizi, attualmente in restauro, la Pala di Santa Lucia de Magnoli di Domenico Veneziano, ancora degli Uffizi. Di incarichi ne ho avuti tanti e qui sono direttore tecnico. Ma contribuire a recuperare le opere danneggiate da qualche disastro naturale è una delle cose che ancora oggi mi emozionano di più».

GLI OBIETTIVI DEL FUTURO
Per l'Italia la priorità del momento è allargare l'esperienza in modo da far fronte alle necessità del futuro. «Soprattutto con le ultime emergenze sismiche, quella del 2012 in Emilia Romagna e del 2016 nell'Italia centrale, abbiamo avuto l'esigenza di trovare dei luoghi di ricovero adeguati- racconta al Giornale Marica Mercalli, storica dell'arte, ex soprintendente in Umbria e ora Direttore generale Direzione Sicurezza Patrimonio Culturale del Ministero della Cultura -. Un passo importante è stata l'emanazione delle ultime linee guida per avere un documento tecnico che servisse di riferimento per tutti i progetti. Nel solo deposito realizzato nella Scuola del Corpo Forestale dello Stato, che ora fa capo ai Carabinieri, di Cittaducale nel Reatino - prosegue Mercalli -, ci sono oltre 4000 pezzi catalogati, messi in sicurezza e monitorati». Qui è ancora custodita molta parte del patrimonio artistico messo in pericolo del sisma dell'Aquila del 2009. «Complessivamente - spiega la direttrice del Ministero - fino ad ora abbiamo recuperato più di 30mila beni mobili, disseminati dei 34 depositi dell'Italia centrale. Con la legge finanziaria del 2020, abbiamo avuto un finanziamento straordinario di 3 milioni di euro, ripartito tra l'Istituto Centrale del Restauro e l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze per attivare contratti con restauratori che possano occuparsi dei beni delle zone terremotate».

ARRIVANO I MILIONI
Una delle linee di intervento del Pnrr riguarda proprio l'allargamento della rete di luoghi di ricovero, per cui sono previsti, come detto, 300 milioni di euro. «Grazie a questi finanziamenti verranno realizzati cinque nuovi depositi di sicurezza. Altri quattro saranno realizzati sulla base di un intervento commissariale - dice Mercalli-. Alla fine dell'operazione Pnrr - per cui prevediamo la conclusione dei lavori entro il giugno 2026 - avremo 9 depositi nuovi, tutti individuati in posizioni strategiche, disseminati sul territorio nazionale». Due tra le prossime sfide riguardano Matera e l'ex centrale nucleare del Garigliano.

«A Matera il deposito è in via di realizzazione. In Campania, se tutto andrà bene, a essere convertita in deposito di beni d'arte, sarà la Centrale nucleare del Garigliano, nel Comune di Sessa Aurunca, vicino a Caserta».

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