Pierre Loti, l'amore fa cose turche

Tradire, si può soltanto per amore. E naturalmente per un amore più grande. Ad esempio, tradire la patria per due occhi di fanciulla. Se hai ventisette anni e lei diciotto; se sei imbarcato come ufficiale su una nave che rappresenta, con la forza delle armi, il tuo Paese in un altro mondo; se il peso della vita ti grava sulle spalle e la tua gioventù ha già bruciato tutto lasciando un mucchio di cenere; se un orizzonte diverso, l'Oriente opposto all'Occidente, ti si apre davanti, rifiutare un nuovo, più grande amore sarebbe follia.
Pierre Loti conobbe molti orizzonti, nella sua vita avventurosa fatta di edonismo e di eccessi: la Cina, Tahiti, l'India... Ma quello che fece di lui ciò che fu, che gli entrò nel sangue come una malattia, ha i colori e i profumi, i rumori e le magie della Turchia. Ufficiale di marina, nel 1877, a ventisette anni, appunto, vi si immerse. E non ne uscì più. Perché lì incontra la dolcissima e misteriosa ragazza, prigioniera e regina di un piccolo harem, che gli ruba l'anima. Uscito in Italia per la prima e unica volta nel 1925, a due anni dalla morte dell'autore, il 28 febbraio (pochi giorni dopo San Valentino...) tornerà finalmente nelle nostre librerie questo romanzo ipnotico e struggente, quest'immersione in apnea nelle cristalline acque della passione: Aziyadé (Leone Editore, pagg. 222, euro 12, traduzione di Luigi Marfè). Come ricorda il traduttore nella postfazione, l'opera affascinò a tal punto Roland Barthes il quale la riassunse così, icasticamente come piaceva a lui, quale emblematico frammento di un discorso amoroso: «Un uomo ama una donna, deve lasciarla; ne muoiono entrambi».
Scritta in forma diaristica e inframmezzata da lettere agli amici e alla sorella che si trova non in Francia bensì in Inghilterra, unica licenza letteraria e unico tenue nascondimento della realtà fattuale, Aziyadé, che ovviamente è il nome della protagonista, è soprattutto una sfida lanciata da Loti alle coordinate sentimentali ed erotiche dell'ormai non più suo universo occidentale. Qui, in una Costantinopoli che in parte somiglia alla Parigi multietnica, fra commercianti ebrei, servitori armeni e farabutti greci, cullato dai canti monotoni di sacerdoti invasati, sedotto dai richiami orgiastici e dalle albe celesti, Loti scompagina le convenzioni cui era abituato. «Lei era una ragazza circassa venuta a Costantinopoli da bambina con un'altra della sua età; un mercante l'aveva venduta a un vecchio turco che l'aveva allevata per darla a suo figlio; il figlio era morto, il vecchio anche; lei aveva sedici anni ed era estremamente bella; allora era stata presa da un uomo che l'aveva notata a Stambul e portata nella sua casa di Salonicco». Non aveva ancora incominciato a vivere, la povera Aziyadé, e la vita era già finita... ignara della libertà e della gioia. «Severim seni, Lotim!», ti amo, Loti! «Senin lafini yemek isterim», vorrei mangiare il suono della tua voce, gli dice. In pochi mesi a cavallo fra il 1876 e il '77 in prossimità della guerra russo-turca si consuma in tutti i sensi la parabola di due cuori, comunque solitari per quanto trasportati dal fiume di una folla anonima.
Loti tradisce e soffre, Aziyadé se ne va e torna. Loti si perde nei meandri di una città-formicaio e Aziyadé si macera nella sua schiavitù. L'uno e l'altra sono il rovescio di una medaglia su cui altrove, molto, molto lontano, abbiamo visto (e amato a nostra volta) Hans Castorp e Clavdia Chavchat: lui con i suoi polmoni deboli e lei con i suoi occhi chirghisi. Stambul non è una montagna incantata, ma una babele onnivora.
Dieci anni dopo, il Nostro tornerà sul luogo di quel delitto amoroso. Con Fantasma d'Oriente (ora riproposto da Asterios, pagg. 94, euro 10, traduzione di Alessandro Sfrecola). Ha smarrito lo slancio giovanile. È un uomo disilluso. Lui, principe dell'inosabile e dell'impossibile conciliazione fra routine e dimensione immaginifica, è diventato un Andrea Sperelli che sui vestimenti borghesi indossa un sottile velo di memoria esotica. Rincorre il tempo perduto, vaga su e giù nel Corno d'Oro e infine rintraccia nuovamente la tomba di lei. Ora sì che può rompere gli argini di un pianto infantile e liberatorio.

Ora sì che Aziyadé è definitivamente sua. A dispetto delle sue ferree intenzioni, non s'è fatto turco. È accaduto l'inverso: la Turchia adesso gli somiglia. Ed è impossibile amarla ancora: i suoi occhi verdi si sono spenti per sempre.

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