Quel Simenon "fascista" esiliato per cinquant'anni

Il racconto "Minacce di morte" uscì nel '42 sulla rivista ufficiale del regime di Pétain. E ricomparve solo nel '92...

Georges Simenon visto da Dariush
Georges Simenon visto da Dariush

Come i drogati odiano la droga, così Georges Simenon, nel 1934, odiava Maigret. «Dopo una ventina di romanzi \ mi sono fermato e sono passato ad altri esercizi. Mi hanno mandato montagne di lettere. Si sono offesi. “Le Jour” mi ha chiesto di far rivivere Maigret per qualche settimana. Ho giurato che è l'ultima volta», scrive introducendo la prima puntata del romanzo intitolato semplicemente Maigret e comparso su quel giornale dal 20 febbraio al 15 marzo.
Ma, come i drogati non possono fare a meno della droga, così Simenon non poteva fare a meno di Maigret: il suo organismo (leggi, le sue finanze perennemente anemiche) dipende dal Commissario. E infatti, quattro anni dopo, il buon vecchio Jules Amédée François viene richiamato in servizio dal suo capo supremo. Nel luglio del '38 Paris-Soir commissiona allo scrittore alcuni racconti-giochi a premio per dilettare i lettori, e li paga piuttosto bene. Simenon ricade quindi malvolentieri nel gorgo: è di nuovo schiavo del suo personaggio.

Sarà un caso, ma sempre nel luglio del '38, nel racconto L'improbable Monsieur Owen, comparso in un fascicolo di Police-Film, proprio di droga si parla... Lo leggiamo ora, per la prima volta in italiano, nella raccolta Minacce di morte e altri racconti (Adelphi, pagg. 166, euro 10, traduzione di Marina Di Leo). Erano tempi grami per Simenon come per tutti. C'era aria di guerra, il più distruttivo stupefacente del mondo, e il Nostro la respirava con il fiato corto. Per lui l'unico palliativo era tornare sui propri passi, contravvenire al giuramento messo nero su bianco. In altri termini, resuscitare Maigret.

Se in L'enigmatico signor Owen Maigret si trova a Cannes per una breve vacanza, complice la trasferta della sua signora precipitatasi a Quimper al capezzale di una zia, in Quelli del Grand Cafè e in Minacce di morte, anch'essi finora inediti in italiano, è, rispettivamente, pensionato a Meug-sur-Loire, come nel fallito commiato di Maigret, e chiamato a sua volta a una trasferta in un villaggio presso Corbeil. È come se Simenon non ne potesse più del Quai des Orfèvres, volesse evadere dalla prigione dove si era autorecluso per interposta persona. E il suo eroe percepisce e riflette la sua stanchezza. In Quelli del Grand Cafè, apparso su Police-Film nell'agosto '38, troviamo una parola grossa buttata lì con nonchalance: «fascista». Qualcuno in paese dice che il ricco macellaio trovato morto non distante dal Grand Cafè dov'era solito giocare a carte con Maigret era un «fascista». Ma poi il Commissario scopre che quel presunto «fascista» era buono, anzi buonissimo, tanto buono da... Da fare che cosa lo scoprirete da soli. Sappiate, per ora, che Maigret lo scopre ma lo tiene per sé, lasciando che la vita, intorno, faccia più o meno tranquillamente il suo corso.

Dunque, un Simenon filo-fascista? Quesito provocatoriamente forzato, ma in linea teorica non del tutto campato per aria, se consideriamo che il quinto racconto qui presentato, Minacce di morte, venne pubblicato, fra marzo e aprile del '42, su Révolution nationale, vale a dire l'organo ufficiale del regime del maresciallo Pétain. Una sorta di damnatio memoriae si è abbattuta su queste pagine che hanno dovuto attendere ben mezzo secolo per essere riproposte in volume (insieme proprio a L'improbable Monsieur Owen e a Ceux de Grand Cafè, fra gli altri), nel '92 nel 25º tomo di Tout Simenon. Fu volontariamente «obliato» dal suo autore, timoroso di vedersi appioppata un'etichetta scomodissima? Oppure stranamente «perduto» e poi miracolosamente «ritrovato» in tempi meno sospetti? In ogni caso Minacce di morte è a buon titolo il racconto maigrettiano più raro in assoluto. Certo, parlare di congiura ai danni di questo Maigret dimesso che accetta di occuparsi del caso soltanto per togliersi un po' dall'atmosfera plumbea del suo ufficio, sarebbe troppo ma a pensar male... con ciò che ne consegue.

In ogni caso, c'è un filo conduttore che lega queste cinque storie minime scritte durante gli anni della guerra che vedono protagonista l'amatissimo Commissario: il suo tedio, la sua apaticità nei confronti di ciò che gli succede intorno. La caccia all'uomo per le vie di Parigi di Il prigioniero della strada lo vede in pratica assistere passivamente, da semplice spettatore, ai tormenti di un sospettato di assassinio.

E in Vendita all'asta lo scenario è una tetra locanda fra gli acquitrini della Vandea dove la ricostruzione a freddo (diciamo pure alla Agatha Christie) delle ore in cui è stato commesso un delitto ci mostra un uomo ormai disilluso dal suo stesso partecipare a una commedia umana in cui persino la morte è diventata routine.

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