Quell'amore malato che ha "guarito" Federico Roncoroni

Sarà perché è fatto di lettere e di amore, ingredienti narrativi sopraffini. Sarà perché la percentuale di verità è alta quanto basta a strapparci via dall'attimo della nostra, di verità quotidiana. Sarà perché ci sono un uomo e una donna e «ragazzo si innamora di una ragazza» è sempre la miglior storia, parola di Hitchcock a Truffaut. Di fatto Un giorno, altrove (Mondadori) di Federico Roncoroni ha conquistato lentamente ma inesorabilmente nei mesi un pubblico di lettori tra i più convinti, quelli che approvano i protagonisti fino all'identificazione: alle donne è piaciuto perché, hanno scritto all'autore, «tutte vorrebbero essere amate come è amata Isa», agli uomini perché si sono ritrovati in entrambi i protagonisti.

L'uomo della storia è Filippo Linati, ultracinquantenne scrittore e intellettuale, una specie di orso sensuale circondato dal lusso di libri e villa sul lago di Como con parco e complessità d'animo a tenere a distanza la superficialità mondana. Filippo ha avuto in dono la malattia, un linfoma, che ha svelato per lui la vertiginosa verticalità dell'esistenza, il doloroso incanto delle piccole cose che perderemo con la morte. Isabella è la tessera del mosaico di Filippo che non vuole comporsi: lei lo ha lasciato quando lui si è ammalato, lei ritorna ora nella sua vita, ma non nella sua villa, con lo stesso ferino mistero, passione suprema tra le passioni.

C'è modo e modo di esordire e quello di Federico Roncoroni non è né il modo «scrivo per vivere» né quello «vivo per scrivere». Roncoroni, che non è proprio un esordiente puro, perché ha già pubblicato la raccolta di racconti Sillabario della memoria (Salani) tre anni fa, è stato scelto dalla vita per un'esperienza lacerante e solo quando il peso della memoria si è fatto insostenibile ha deciso di sgravarlo in pagina: «Ho scritto questo romanzo per smettere di viverlo. I tempi erano maturi e io dal punto di vista strettamente linguistico e narrativo mi ero procurato le armi e il fiato necessario per correre nella misura del romanzo. Certo sono come una primipara anziana, ma credo che non ci sia un'età più adatta di altre per scrivere: si scrive quando si può. Temo, ma non per motivi di età, di essere un uomo di un solo romanzo: quello che volevo dire l'ho detto. Se mi troverò a vivere un'altra storia come questa, potrei liberarmene solo scrivendola».

In tempi di autofiction, viene da pensare che sia l'averlo vissuto il segreto che fa amare questa vicenda, anche se Roncoroni possiede lo stile di una vita da linguista e viaggiatore: «Siamo autobiografici anche quando prepariamo un'omelette e la serviamo in tavola. Io del resto non amo gli autori di fantascienza e scrivo quello che vedo e quello che vivo.

Mi sono servito della mediazione della letteratura per filtrare gli eccessi di autobiografismo, ma credo che l'urgenza affettiva, sentimentale e anche erotica che è alla base dell'intera vicenda sia rimasta. E credo anche sia questa la ragione del passaparola che ha portato alla diffusione e al successo del libro nella quasi assenza di pubblicità».

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