Come se la vita fosse perdersi in un bosco, illudersi di uscirne, e girare in circolo. Come se dal dolore fosse impossibile imparare una lezione definitiva. Come se fossimo incatenati alla parte distruttiva di noi stessi, nonostante gli sforzi. Come se avessimo in fondo, al massimo, un paio di idee fondamentali (grandiose o irrilevanti, non conta) e a quelle tornassimo in continuazione, volenti o nolenti. Questa è l'impressione che si ricava dalla lettura di Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi. Vita di David Foster Wallace (Einaudi, pagg. 486, euro 19,50) di D.T. Max, documentata biografia (anche intellettuale) dello scrittore statunitense suicidatosi a 46 anni nel 2008, dopo alcuni tentativi andati a vuoto.
Wallace è un prodigio fin da giovane. La sua tenuta è però minata dalla malattia mentale, una forma grave di depressione con impulsi autolesionisti, manifestatasi molto presto. «Dipendenza» è la parola che spiega il carattere di Wallace. Egli si disprezzava per la sua incapacità di trovare una dimensione matura e indipendente. Ci ha provato senza lesinare energia, ottenendo anche risultati tangibili, ma la bestia nera era sempre pronta ad assalirlo, non appena abbassava la guardia.
Dipendenza, dunque. Dipendenza dalla famiglia, nonostante il tormentato rapporto con la madre. Dipendenza dalla marijuana e dall'alcol. Dipendenza dalla televisione, rifugio nelle ore buie. Dipendenza dalle donne e dal sesso. Dipendenza dagli psicofarmaci, sempre assunti tranne nell'ultimo fatale periodo. Dipendenza dal giudizio degli amici come Jonathan Franzen e Don DeLillo. Infine la dipendenza più grave: quella dalla scrittura.
Alla fine si torna al punto di partenza. Anche nella letteratura. Wallace inizia come un dichiarato epigono del postmoderno, Pynchon e Barth sono i numi tutelari del suo primo romanzo, La scopa del sistema (presto rinnegato nella sostanza e nella forma). L'attenzione per il ruolo dei media e dell'intrattenimento popolare, un certo misterioso complottismo nella trama, lo stile esuberante, le riflessioni meta-letterarie sono farina del sacco degli autori citati. Presto Wallace, parallelamente al processo di disintossicazione da alcol e droga, inizia a manifestare la sua insoddisfazione per le sue fonti d'ispirazione. Scopre con ammirazione autori classici contemporanei (Cormac McCarthy) e non (Dostoevskij). Ci trova una profondità sconosciuta e matura la convinzione che l'ironia tanto amata dai postmoderni sia una prigione: non è un mezzo per contestare il sistema, come loro credono; ha una funzione negativa e il suo uso prolungato la trasforma in un finto lamento «di gente in gabbia che si è innamorata delle proprie sbarre».
Il romanzo dunque dovrà instaurare un rapporto diretto col lettore, indicargli con chiarezza la via del riscatto. Sono le linee guida di Infinite Jest, ove Wallace, incamminandosi verso due orizzonti narrativi diversi, cerca di offrire, nello stesso piatto, il postmoderno e il suo superamento. Infinite Jest, uscito nel 1996 ma iniziato dieci anni prima, diventa il romanzo per eccellenza della generazione «grunge» ormai al capolinea. Molti lo hanno paragonato a Nevermind, il celebre album dei Nirvana, e con molte ragioni, per altro afferrate subito da Wallace stesso: c'è una evidente vicinanza di temi e atteggiamento, dalle «mutazioni» antropologiche dovute all'onnipresenza dei media al senso di colpa dettato dalla consapevolezza di essere parte integrante della disprezzata industria dell'intrattenimento pop. Per non dire della riflessione sulle dipendenze e dei passaggi sull'abuso di minori... Non a caso il verso chiave di Smells Like Teen Spirit («I feel stupid and contagious (...) Here we are now, entertain us») ricorda il sottotitolo soppresso di Infinite Jest (Un intrattenimento fallito).
Le ultime prove di Wallace puntano, in teoria, a una maggiore linearità dello stile (non soltanto nel campo della non fiction, ove si rivela un maestro; la prosa dei racconti di Oblio fu definita «grigia» dai critici). Il romanzo Il re pallido, rimasto incompiuto, voleva suggerire una inedita strada verso la beatitudine: attraversare la noia, fino a raggiungere uno stato sublime di pace col mondo. Location dell'intreccio: l'Agenzia delle Entrate. Ma come raccontare la noia senza perdere per strada il lettore? Difficoltà accresciuta da un «dettaglio»: Wallace è infatti lo scrittore in possesso del migliore stile comico in circolazione. Ancora una volta esplodono le contraddizioni.
Il tentativo di essere semplice si rivela complicatissimo e alcuni stralci del Re pallido sembrano tornare agli esordi della Scopa del sistema.Wallace prima dell'ultima crisi disse di non reggere il peso della scrittura. L'angoscia di non riuscire a scrivere come desiderava lo trascinò a fondo.
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