La Scienza? Una catena di flop perfetti

La Scienza è ostinata (o saggia?) come un mulo. Più lo spingi, e più questo si rifiuta di proseguire il cammino. Più la spingi, e più quella si rifiuta di progredire lungo la strada della conoscenza. Oppure prende strade sbagliate. È come se le conquiste, le acquisizioni che mettono al loro posto per sempre i tasselli di un mondo passo dopo passo più decifrabile e decifrato, rispondessero a una volontà superiore e anonima.
No, lasciamo da parte «creazionismo» e «finalismo», concetti che conducono nell'«altra» dimensione non riducibile a teoremi e formule, la dimensione spirituale e conseguentemente religiosa. E lasciamo da parte anche la suprema libertà del Caso, la più anarchica delle forze, il più capriccioso dei motori. Perché qui, nel saggio di Mario Livio dal titolo all'apparenza antiscientifico Cantonate (Rizzoli, pagg. 462, euro 18), è proprio quell'ipotetica volontà superiore e anonima a ricoprire il ruolo del convitato di pietra. Una presenza assente, un'idea, un'ossessione sotterranea che indirizza e comanda, che influisce di nascosto. Ma non si pensi che un astrofisico di fama mondiale, coordinatore del programma del telescopio spaziale Hubble, si sia concesso una divertita e divertente vacanza di stampo misteriosofico, si sia preso per puro diletto un periodo sabbatico. Tutt'altro. Cantonate è un elogio differito della scienza che ne pone in luce, in ultima analisi, l'umiltà di riconoscersi fallibile.
Vale a dire, volgendo la cosa in positivo, di progredire sbagliando. Gli undici capitoli del libro sono come undici immense sale del Museo del Sapere, in cui incontriamo tutti i campioni dell'umanità, da Darwin a Einstein, da Aristotele a Copernico, da Meldel a Dawkins e chi più ne ha più ne studi. I moti dei pianeti, la genetica, le dinamiche celesti e quelle interne agli organismi viventi, le differenziazioni delle specie, gli intrecci di spazio e tempo: tutto procede per tentativi, dando un colpo al cerchio della teoria e uno alla botte della pratica. E anzi, siccome a tutti i livelli sbagliando s'impara, siccome proprio escludendo questo e quello, individuando i vicoli ciechi che non portano a nulla si acquisiscono i punti fermi, ben vengano i corto circuiti, soprattutto quelli delle grandi firme.
«Un genio non sbaglia. I suoi errori sono cercati e sono l'anticamera delle scoperte», è scritto nell'Ulisse di Joyce. Cercati forse no, sarebbe troppo lusinghiero e forse persino antiscientifico, ma sul fatto che le topiche siano l'anticamera delle scoperte non ci piove. Anche perché la Scienza è una ruota che non si ferma mai, e gli allori di chi arriva per ultimo e meglio s'accomoda si basano sulle pernacchie (postume) che bersagliano chi per primo s'è posto il problema salvo poi non risolverlo.

Cantonate di Mario Livio, dunque, non è soltanto un bel saggio di storia della scienza, è anche un memento per chi, scienziato o no, gonfia troppo il petto pensando d'aver scoperto l'acqua calda. La doccia fredda è dietro l'angolo.

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