Scrivere "alla Salgari"? Una bellissima avventura

Quattordici autori si misurano con il mito del creatore di Sandokan. Da Altieri a Malvaldi tornano tutti bambini. Con nostalgia e ironia

Scrivere "alla Salgari"? Una bellissima avventura

Pulp e fiction. Salgari non lo sa, di essere il trisnonno o giù di lì di Quentin Tarantino. Però lo sanno tutti gli altri. Ma se oggi il pulp e la fiction sono una coppia indissolubile, grottesca o comica, drammatica o persino rosa, che va all'altare recando in dote violenza e mistero, trame occulte e droghe più o meno pesanti, una volta, diciamo nella seconda metà dell'800, il loro rapporto era da una parte più libero, cioè non sotteso alle logiche di mercato, dall'altra più didascalico, cioè una sorta di sussidiario etnologico. Le storie inventate di sana pianta dal buon Emilio, chiuso nel suo studio, fornirono agli italiani i primi rudimenti di geografia e geo-politica, di storia e mitologia. Era lui il motore di ricerca che metteva in contatto con i mondi «altri», attirando il lettore con il link dell'avventura. Ecco perché essere salgariani oggi non significa essere passatisti, al contrario. Significa replicare, con nuovi strumenti multimediali molto più comodi dei polverosi tomi, il suo lavoro di contaminazione letteraria.

Lo conferma una raccolta curata da Luca Crovi e Claudio Gallo che mette insieme 14 esercizi di stile «alla Salgari»: Cuore di tigre (Piemme, pagg. 334, euro 16,50, presentazione oggi a Milano alla libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte, alle ore 18,30). I «tigrotti sulle tracce di Emilio Salgari», come li chiama il sottotitolo, son tutta gente abituata alle scorribande trasversali fra i generi: Altieri, Avoledo, Buticchi, Cacucci, Carlotto, Colaprico, Colitto, Di Fulvio, Lucarelli, Malvaldi, Milani, Sarasso, Simoni, Wu Ming 5. E anche loro, avendo pochi anni più del sulfureo cinquantenne Tarantino (a parte il decano Mino Milani, classe 1928) hanno condiviso quel particolare habitat delle esperienze di lettura adolescenziali decisive per la loro carriera. C'è chi, nell'omaggio all'antico maestro, sceglie la strada del calco filologicamente corretto, con un profluvio di termini marinareschi ed esotici acquisiti a volte tramite esperienze dirette. C'è chi predilige il tono caricaturale diluendo nel passato alcune gocce di presente. C'è chi sceglie l'eroe preferito (Yanez, il Corsaro Nero, Tremal-Naik...) per intingerlo in un sughetto speziato. C'è chi gioca con la sovrapposizione dei linguaggi, variando il registro fra il lessico fogliettonistico ottocentesco (conservandone persino le allitterazioni) e i modi di dire o le figure retoriche della modernità. Massimo Carlotto si spinge in una location non prettamente salgariana, la Sierra Madre in Messico; Piero Colaprico ci porta da un Tremal-Naik in età da pensione ma che non ha perso il gusto del proibito e dell'impossibile (per i comuni mortali); Tullio Avoledo, con felice quanto drammatica ucronia, ci intrattiene con dei pirati particolari, in azione alle Twin Towers. A dimostrare che la «salgaritudine» non è una semplice posa letteraria, bensì una dimensione dello spirito estesa oltre i troppo ristretti confini del tempo e dell'atlante.

Leggere questi racconti oggi, in un 2013 che lascia poco spazio alla fantasia, ci fa un po' tornare bambini. È come riscoprire, in un angolo della cantina o della soffitta, il vecchio teatrino di legno con le quinte in compensato e le marionette dai vestiti un tempo sgargianti e ora smunti, dopo decenni di oblio.

E ricordare di quando, nei lunghi pomeriggi invernali, volentieri trascuravamo i compiti per tuffarci sui Pirati della Malesia o sulle Tigri di Mompracem. Perché Salgari, in incognito, era il nostro insegnante di sostegno.

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