Così la società occidentale si riscoprì divisa e sofferente

Le tensioni sociali e gli scontri razziali, la sofferenza del lockdown e lo spaesamento delle città svuotate dalla pandemia. Così Zadie Smith ci fa conoscere l'America dilaniata dal virus

Così la società occidentale si riscoprì divisa e sofferente

"Scrivere significa nuotare in un mare di ipocrisie, in ogni momento. Sappiamo di essere degli illusi, ma la cosa strana è che l'illusione è necessaria, almeno temporaneamente: serve lo stampo, quello in cui riversiamo tutto ciò a cui non riusciamo a dare forma nella vita". Lo dice subito, Zadie Smith, prima ancora che "un aprile senza precedenti arrivi a rendere insensata ognuna di queste frasi". Un "aprile di morte", quello segnato dall'inesorabile dilagare dell'epidemia di coronavirus negli Stati Uniti. Prima di questa ondata riesce ancora a farsi catturare dalla semplice bellezza di un mazzetto di tulipani bianchi striati d'arancione che prendono vita in un fazzoletto di terra facendo breccia "in un'estetica lungamente allenata, rigidamente e consapevolmente urbana". Dopo non più.

Il punto di frattura

Mettete da parte i suoi romanzi. Se decidete di leggere Questa strana e incontenibile stagione (Sur), sappiate che non troverete la poesia a cui la Smith vi ha abituato da sempre. Non vi perderete più nei quartieri multietnici di Londra come in Denti bianchi o in N-W né seguirete le folli avventure di un Uomo autografo; non vi farete travolgere dalle contraddizioni della middle-class americana come in Della bellezza o nel ballo fuori sincrono di due vite gemelle come in Swing. Preparatevi a un scritto duro che non nasconde l'ira in un momento in cui è troppo facile abbandonarsi ai sentimenti più radicali e violenti. Perché quello che viene fuori da questo breve saggio è il ritratto di un Paese lacerato, gli Stati Uniti, il cui presidente Donald Trump, con le sue posizioni schiette e tutt'altro che accomodanti, ha contribuito a polarizzare in uno scontro violentissimo. Certo, con tutto questo il tycoon ci gioca all'inverosimile. E l'intellighenzia dem non fa che cadere in questo tranello e alimentarlo all'inverosimile. Ne scaturisce un odio viscerale che si spinge tanto in là da non riuscire nemmeno a pronunciarne il nome, al pari dell'altro capo di Stato biondo che sta "sull'altra sponda dell'oceano".

Zadie Smith

La guerra negli Stati Uniti

La Smith parte proprio da una citazione dell'innominabile. "Vorrei tanto riavere la nostra vita di prima. Avevamo l'economia più straordinaria che abbiamo mai avuto, e non avevamo la morte". La usa per ribaltarla, per dire che negli Stati Uniti la morte c'è sempre stata - non quella portata da un virus pandemico venuto da lontano, ma quella segnata dalla disuguaglianza, dal razzismo e dalla povertà. Il Covid-19 non ha fatto altro che, a suo dire, prolungare la stessa scia di sangue sulle stesse latitudini sociali: "Questa è senz'altro un'epidemia, ma le gerarchie americane, erette nell'arco dei secoli, non si lasciano abbattere tanto facilmente - scrive - in questa distesa di morte indiscriminjata, scorgiamo ancora alcune antiche distinzioni. Il tasso di mortalità fra i neri e gli ispanici è attualmente il doppio che fra i bianchi e gli asiatici. I poveri stanno morendo più dei ricchi. Più nei centri urbani che nelle campagne. La mappa del virus nei quartieri di New York diventa più rossa precisamente nelle stesse aree che si colorerebbero se la sfumatura di scarlatto misurasse non la diffusione del contagio e la mortalità ma le fasce di reddito e la qualità delle scuole. La morte prematura non è quasi mai stata un fenomeno casuale, in questi Stati Uniti - continua - in genere ha avuto una fisionomia, una collocazione geografica e un reddito molto precisi. Per milioni di americani la guerra c'è sempre stata". Non che tutto questo non sia vero ma è strumentale e fuorviante legarlo indissolubilmente al mandato di Trump. Altrimenti si rischia di cadere nello stesso errore ideologico dei Black lives matter, un movimento che ha canalizzato la rabbia scatenata dalla morte di George Floyd in un conflitto con la Casa Bianca, con la sperenza di deporne anzitempo il suo inquilino.

Donald Trump

La sofferenza nel tempo

Messa da parte la filippica politica, Zadie Smith affronta un tema che durante il lockdown è stato a lungo taciuto: la sofferenza. Non quella generata dai lutti, ma quella scatenata dall'eccesso di tempo e da una condizione di reclusione claustrofobica a cui nessuno ci aveva preparato. Il brano Soffrire come Mel Gibson è sicuramente il più vero perché, a mio avviso, si spoglia del preconcetto ideologico e affronta un dolore universale che negli ultimi mesi ha piegato l'intera società occidentale, a tal punto da spingerci a sognare "un isolamento dentro l'isolamento". E così, andando oltre lo scontro razziale, riesce a vedere quel male trasversale che ha colpito chiunque: gli uomini sposati si ritrovano "davanti l'infinita realtà delle loro mogli", i giovani muoiono "dalla voglia di essere toccati da qualcuno di sconosciuto", i figli di genitori separati "si muovono per le strade silenziose, scarrozzati avanti e indietro da un isolamento all'altro", e chi alterna le notti di lavoro ai giorni a crescere i figli finisce per non distinguere più il confine tra un giorno e l'altro, tra una settimana e l'altra. Ecco il vero affresco che fa emergere tutte le debolezze della nostra società. Debolezze che, presto o tardi, finiscono per schiantarsi contro il singolo in una sofferenza che agli altri sembra sempre un'inezia, ma a chi ce l'ha addosso può, in taluni casi, rivelarsi inestricabile. In questo mondo alla deriva a dissociati e schizofrenici sembra per la prima volta che la realtà gli venga incontro. Tanto da spingere i sani di mente a chiedersi: "come dev'essere avere una mente in fiamme in questo mondo? Ti senti ancora più distante dal mondo? O il mondo, in queste nuove condizioni estreme, gli è finalmente venuto incontro?".

Scontri negli Stati Uniti

L'altro virus

Il saggio si conclude con una raccolta di ritratti. Zadie Smith li chiama Screenshot. Fermi immagine, in omaggio a John Berger, della follia generalizzata che, prima del lockdown, ha unito New York a Londra. Hanno il sapore di quei giorni e con poche pennellate riescono a far rivivere i momenti di sgomento prima dell'incubo da cui gli Stati Uniti non sono ancora venuti fuori. Un incubo probabilmente drammatizzato dai mass media, ma che sicuramente sta segnando tutti gli americani. Di questi screenshot l'ultimo è dedicato a un fatto che è avvenuto in pieno lockdown: la morte di George Floyd, l'afroamericano ammazzato da un poliziotto dopo essere stato fermato per un crimine da poco.

Per la scrittrice è l'occasione per parlare di quell'altro virus, quello che non risparmia repubblicani e democratici e che spinge "chi guarda la siepe del proprio giardino" a vedere "un popolo di appestati: appestati dalla povertà, prima e più di ogni altra cosa". È il virus del disprezzo. "Un tempo pensavo che un giorno si sarebbe trovato un vaccino - conclude - ora non lo penso più".

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica