Il primo saggio politico di Herbert Spencer (1820-1903), che riuniva assieme una serie di lettere pubblicate nel 1842-43 sul giornale "The Nonconformist", s’intitolava “The proper sphere of government”. E’ questa preoccupazione per la limitazione del potere pubblico che caratterizza tutta l’elaborazione del filosofo britannico, in vita certamente uno dei più noti intellettuali dei suoi tempi ma sostanzialmente dimenticato dopo la morte. Per Spencer, lo Stato serve “non tanto a regolare il commercio, ad istruire il popolo, a insegnare la religione, ad amministrare la carità o a realizzare strade e ferrovie, ma semplicemente a tutelare i diritti naturali dell’uomo, a proteggere la persona e la proprietà, a prevenire l’aggressione del forte sul debole: in una parola, ad amministrare la giustizia. Questa è la funzione naturale e originaria del governo. Non è stato concepito per far meno, e non gli dev’essere permesso di fare di più”. Nei suoi lavori successivi, Spencer raffinerà questa visione, integrandola all’interno di un teoria dell’evoluzione che è anche una teoria del progresso sociale. Per Spencer “il progresso verso l’integrazione si accompagna al progresso dell’eterogeneità”. L’omogeneità è instabile, mentre per raggiungere un equilibrio più stabile è necessario un crescente grado di differenziazione e assieme di integrazione. In una società più complessa, attrezzata per soddisfare più esigenze, siamo tutti più interdipendenti.
L’evoluzione sociale pertanto si snoda fra società nelle quali le relazioni umane sono faccia a faccia, che stanno unite per perseguire l’obiettivo comune della sopravvivenza in una natura ostile, a società più estese, vaste e popolose, nelle quali la cooperazione è in larga misura impersonale. E’ un passaggio, per usare una formula resa famosa da Henry Sumner Maine, da comunità incardinate sullo “status”, nelle quali il singolo è al centro di una serie di legami sociali da lui non determinati e indistricabili, a società fondate sul “contratto”: su persone che si associano liberamente, in relazioni considerate mutuamente vantaggiose. Nelle prime, i rapporti fra individui sono contraddistinti da successivi gradi di subordinazione, “dal despota agli schiavi, tutti sono i padroni di chi si trova sotto e sudditi di chi si trova sopra”, mentre nelle seconde ciascuno “può mantenersi col suo lavoro, scambiare i suoi prodotti con quelli degli altri, prestare il suo aiuto e ricevere un pagamento, entrare in questla o quella combinazione per condurre a termine un’impresa senza obbedire alla direzione della società come un tutto”. Nelle prime lo Stato dice al singolo quel che non deve fare e quel che deve fare, nelle seconde solo quel che non deve fare. Le une sono tendenzialmente bellicose e votate alla conquista, le altre pacifiche e dedite all’integrazione economica e commerciale.
Spencer pubblicò il suo primo grande trattato, “Social Statics” (1851), dopo aver lavorato come ingegnere nelle ferrovie e come redattore all’Economist. I dazi sul grano erano stati aboliti da poco, grazie alla straordinaria mobilitazione popolare della Anti Corn Law League di Richard Cobden e John Bright. Ma nel corso della sua vita fece in tempo ad osservare l’affermarsi di idee di segno ben diverso, votate invece a una rigida regolamentazione dell’economia da parte dei poteri pubblici. Per Spencer, esse rappresentavano un “nuovo conservatorismo”, che mirava a limitare lo spazio della libertà contrattuale. Contro di esse scrisse i saggi poi racchiusi nel suo celeberrimo “Man versus the State” (1884).
In un saggio precedente, “Over-legislation” (1853), aveva invece previsto i danni dell’iper-regolamentazione e della burocratizzazione, anticipando temi che appaiono tutt’oggi di grande attualità.
Il padre di Spencer era un educatore quacchero, lo zio (presso il quale trascorse il periodo cruciale della propria formazione) un pastore della Chiesa d’Inghilterra, ma convinto assertore della necessità di separare Stato e Chiesa. L’appartenenza agli ambienti nonconformisti segnò molto Spencer, che ne ereditò “l’assenza di timore reverenziale per l’autorità”. A questo profondo senso della libertà e dell’individualità ispirò tutta la propria opera.
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