Tesori d'arte da gustare da ogni regione d'Italia

All'interno dell'Expo una grande rassegna antologica con oltre 250 opere. Dalla Valle d'Aosta alla Sicilia e dal '300 al '900 il meglio del nostro Paese

Tesori d'arte da gustare da ogni regione d'Italia

Ci sono ancora molte casse chiuse, altre vuote, i muletti, i carrelli, trapani e avvitatori per terra, ci sono gli operai, la corte di curiosi e assistenti che segue in tour perenne Vittorio Sgarbi, mancano alcune opere che devono arrivare, non ci sono le didascalie, non c'è ordine, ma quello che c'è, a due giorni dall'inaugurazione, è un vero tesoro d'Italia.

«Il tesoro d'Italia» è la mostra che Sgarbi ha allestito dentro, sopra e attorno le due stecche che formano lo Spazio Eataly, all'Expo. Un percorso che nella sua completezza s'inaugura domani, attraverso sette secoli di storia, dal '300 al '900, con 250 opere fra quadri, statue, reliquiari, mobili e fotografie, divise regione per regione, in ministand dentro un grande stand, lungo un sogno e anche un azzardo che è quello di far assaggiare, fra capolavori e pezzi semisconosciuti, il gusto dell'arte italiana, chez Oscar Farinetti, al di fuori (e in opposizione) del Padiglione Italia. Biglietto da visita d'autore dell'Italia e pinacoteca mainstream dentro il padiglione Eataly più pop dell'Expo, «Il tesoro d'Italia» - di cui mentre scriviamo Sgarbi sta estraendo i “pezzi” ancora mancanti a 48 ore dall'apertura al pubblico – espone in uno spazio forse troppo piccolo per così tanto non solo opere d'arte di maestri e di dimenticati, ma anche “mette in mostra” la bio-diversità artistica che distingue un piemontese da un toscano o un marchigiano da un pugliese. Componendo, nell'insieme, un mosaico da cui appare evidente una unità, italianissima, costruita sulla varietà regionale. A suo modo, nella follia testarda di Sgarbi, un'esposizione senza precedenti. In pochi metri quadri di separazione, dalle eccellenze del cibo eatalyano alle meraviglie dell'arte italiana.

La prima piccola meraviglia - dopo le gallerie fotografiche lungo le scale d'accesso al piano sopraelevato, dopo tutto il contemporaneo in mezzo ai tavoli dei ristoranti regionali, e le decine di sculture che si incrociano nell'area tra Eataly e il Decumano (dalla Maternità di Fausto Melotti agli Aurighi di travertino di Girolamo Ciulla, davanti al padiglione dell'Argentina - è l'entrata nel “museo”. Un prologo che omaggia i simboli d'Italia: un giocoso e coloratissimo pavimento in resina di Gaetano Pesce che cita tutte le icone nazionali, dal mandolino alla Ferrari; poi una ceramica invetriata dei Della Robbia e un gigantesco volume 81x65 della Divina Commedia illustrata da Amos Nattini tra il 1919 e il 1939. È il libro (peso 27 chili) dell'Inferno. Che dire? Un paradiso.

Che dire? Che una mostra così, al netto dell'insopportabilità di Sgarbi, narciso capriccioso che muore e risorge ogni giorno nel riflesso della propria intelligenza sprecata dal carattere, non si era mai vista. Una sorta di Brera napoleonica in piccolo che allinea una collezione italiana unica, regione per regione. Ecco, si entra. La Valle d'Aosta: c'è un Reliquiario di Sant'Orso (1431) e c'è Italo Mus, pittore degli anni Quaranta amico di De Pisis... Poi il Piemonte: c'è Giuseppe Maria Bonzanigo, col Ritratto di Bodoni che arriva da Asti, ci sono due tra le più belle sculture del '700 piemontese, dei fratelli Collino, c'è, o perlomeno ci sarà, un Tazio da Varallo («Ma arriva stasera...»), c'è un minuscolo meraviglioso ritratto di donna del primissimo '500 di Macrino d'Alba: «E di Alba era anche Roberto Longhi, e di Alba è anche Oscar Farinetti», dall'Italia del Bello all'Italia del Buono in un didascalia. E poi la Liguria, con le Tre Parche di Gioacchino Assereto, con Nicolò Barabino, con Alessandro Magnasco. Le opere arrivano da musei, chiese, case private, dall'estero, da banche, da collezionisti amici... Molte o le vedi qui, o non le vedi più. C'è il Trentino, ma la parete con i quadri che arrivano dal Mart è coperta da un'enorme cassa-imballaggio, e non si sa cosa c'è dentro. C'è il Friuli Venezia Giulia con un Afro figurativo rarissimo, prima del passaggio all'astratto, e una scultura di Attilio Serra... Ecco l'Emilia Romagna con Carracci, Guido Reni, un'intera parete con i “primitivi”: Cosmè Tura, il Maestro di Forlì, Giovan Battista Benvenuti detto l'Ortolano... E di Faenza è Ferraù Fenzoni (1562-1645) che si dice avrebbe ucciso per invidia un giovane pittore, suo collega. «È un po' come se tu uccidessi Cazzullo», spiega Sgarbi a Gian Antonio Stella al quale mostra i quadri dell'assassino e dell'assassinato...

Il vero delitto è aver accettato di farsi trascinare per due ore in questo piccolo Grand Tour dell'arte italiana saltando da un ritratto dell'Aretino di Tiziano («Il più bello che c'è») ai matti Ligabue e Pietro Ghizzardi guidati da un matto peggiore. Sgarbi sistema una tela e ti parla di una pala d'altare. Ascolta la tua domanda e risponde a quella di un altro. Sai solo che stai passando dal Veneto: Bellini, Cima da Conegliano, Lorenzo Lotto, Paolo Veronese, il Piazzetta... anche se la cosa più bella sono i Naufraghi del 1934 di Cagnaccio di San Pietro.

L'Italia è meravigliosa perché varia. Eccola, la varietà dello spirito italiano. C'è un reliquiario del '400 in oro («Vale sei milioni di euro»), c'è la Sicilia di Guttuso, Fausto Pirandello, Trombadori, c'è la Sardegna di Giuseppe Biasi con un bellissimo La canzone del pappagallo e con le torte (commestibili) sotto vetro di Anna Gardu che è l'unica artista vivente qui dentro, ci sono Libero Andreotti, Lega, Signorini, c'è la Campania con La verità di Antonio Mancini (1852-1930). E c'è un altro reliquiario unico al mondo, a forma di albero, alto due metri e sessanta, realizzato tra il 1350 e il 1471 da Ugolino da Vieri e Gabriello D'Antonio, un fusto che poggia su un tempietto gotico a tre piani da cui escono dodici rami con foglie decorate. «Eccolo il vero Albero della Vita, non quella cazzata che hanno messo qui fuori...».

Qui fuori stanno arrivano altri operai con

altre casse e altre opere. Arriveranno (tutte?) fra stanotte e domani. Vittorio Sgarbi, come l'Expo, e come in fondo l'Italia, è abituato a finire le cose all'ultimo momento. Di solito, sono cose meravigliose. Un tesoro.

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