Da Tolstoj e Grossman lezioni letterarie di estremo salutoCon Ivan Il'ic e Dimtrij Petrovic

Sul letto di morte trovano posto accanto al morente soltanto i suoi affetti più profondi e radicali, mentre le sue unghie si consumano sulla parete inclinata della vita per trattenere gli ultimi istanti, per respirarli, assaporarli, cullarli ancora per un attimo. Sul letto di morte non c'è spazio per null'altro. Figuriamoci per la letteratura, quel passatempo nobile che l'umanità si è inventata per mettere fra parentesi proprio lei, la morte.
Ma sul letto di morte qualche scrittore, con alcuni anni di anticipo sul proprio congedo, ha scritto pagine davvero immortali, sfiorando l'atto estremo per interposta persona, giungendo fino alle soglie dell'indicibile, del silenzio meta-letterario. Primo fra tutti, Lev Nikolàevic Tolstoj. La morte di Ivan Il'ic non è una lapide che seppellisce il protagonista, è la sua estrema realizzazione di uomo, il momento in cui il diretto interessato (e anche noi che lo accompagniamo alla tomba) ha finalmente contezza dell'assurdità della vita, della sua vuotezza e inutilità tuffata nel mare della solitudine.

E poi Vasilij Grossman, che nel racconto L'alce, descrivendo la fine dell'ingegnere Dimtrij Petrovic coglie, proprio come il maestro di Jasnaja Poljana, il resettarsi di un'esistenza, la tabula rasa su cui incidere le parole del disinganno e del perdono.

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