La storiografia italiana sul Seicento non è di certo abbondante. Il Croce se ne è occupato per la letteratura; se ne parla per l'importanza di Galileo e poi ci si limita al Manzoni che è, probabilmente, quello che con i suoi «Promessi sposi» ha fatto conoscere di più quel trascurato secolo.
Ora arriva in libreria un saggio a tutto campo su questo periodo. Ne è autore il giornalista e storico trevigiano Sante Rossetto con il suo «Vivere il Seicento. Una città veneta ai tempi della Serenissima» edito dalla veronese Betelgeuse. L'autore ha consultato per mezza dozzina di anni le carte dell'Archivio di Stato e i manoscritti della sua città. Ne ha tratto trecento pagine, in sedici capitoli, in cui racconta le vicende di cento anni nella Terraferma veneta. Non un volume dedicato a pochi eruditi, ma aperto alla lettura agevole e accattivante per chi voglia saperne di più su un periodo trascurato.
Rossetto non manca di polemizzare che uno stereotipo storiografico che vuole l'Italia del Seicento schiava della Spagna. Ma quale Spagna? La Serenissima era, pur non con lo splendore del passato, una potenza di peso europeo in grado di far tremare il Papa costretto a ritirare l'interdetto lanciato contro la Repubblica, tener testa all'imperatore (guerra di Gradisca (1615-1617) e far soffrire per venticinque anni i Turchi che volevano conquistare l'isola di Creta, allora chiamata venezianamente Candia.
Lo studio del giornalista prende in considerazione tutti gli aspetti della vita quotidiana che, pur considerati in una città di provincia, non differivano da quelli di qualsiasi altra città italiana e sicuramente veneta, sempre considerando che la Repubblica allora partiva da Crema passando per Bergamo e Brescia arrivava all'Istria, a Zara e alle bocche di Cattaro e ancora più giù alle isole ionie Corfù compresa. Il lettore viene condotto lungo la conduzione amministrativa veneta, il fisco, la finanza, il commercio, la religione, l'organizzazione militare, l'agricoltura, il vitto, l'abbigliamento per concludersi con l'informazione. Perché anche nel Seicento bisognava essere informati. Se non con i primi «avvisi» e le primissime «gazzette», almeno per mezzo dei frequentatori delle osterie, delle fiere, dei mercati e dei bandi emessi dalle autorità.
Un libro che
vuole portare la storia nelle mani di un pubblico più vasto, curioso qual era il nostro passato. Da cui, come evidenzia il lavoro, derivano molte caratteristiche attuali. Ma questo è un discorso vecchio che Rossetto conferma.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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