Roma e Milano sono le due città italiane in cui sembra che succeda tutto. Chi vi dimora ha quell'impressione, un'impressione che svanisce non appena ci si sposta di qualche chilometro, si trascorre un po' di tempo in campagna o in provincia e d'improvviso ci si accorge che non è vero niente, che il mondo e la vita sono ben altro, che i codici comportamentali delle metropoli sono soltanto ridicole gabbie insensate in cui la gente che si crede cool si rinchiude senza nemmeno sapere bene il perché. Per sperimentare un sano ravvedimento bisogna evitare accuratamente New York perché anche New York è una di quelle città in cui si verifica lo stesso fenomeno illusionistico (anzi amplificato al massimo). Class - vite infelici di romani mantenuti a New York , il nuovo romanzo di Francesco Pacifico (Mondadori, pagg. 325, euro 19 ), sbatte in copertina un sottotitolo satirico che in poche parole riesce a inquadrare alla perfezione uno scenario di macchiette romane che si agitano e sgomitano per farsi notare nella trascurabile fetta di mondo da loro abitata e cioè il loro «giro creativo» (cinema, editoria e musica in primis ).
Con un'ironia garbatamente feroce, Pacifico ridicolizza implacabilmente le vite tormentate di tre privilegiati senza merito che si ostinano con ottusità a voler essere qualcuno in segmenti produttivi ormai esauriti ma che a loro appaiono misteriosamente ancora molto importanti, come se il tempo si fosse fermato al ventesimo secolo. Con tutta onestà si stenta ad afferrare le ragioni per le quali i tre personaggi principali spendano così tante energie e così tanti soldi non loro per provare a sfondare, ma è evidente che certe persone esistono davvero e che Pacifico quel mondo lo conosce ed è stato costretto a studiarlo per scrivere questo romanzo.
La generazione presa in esame dall'autore è quella dei suoi coetanei (nati sul finire degli Anni Settanta), una generazione che, in molti casi, è invecchiata portandosi dietro devastanti tic culturali, conformista fino all'autolesionismo, investita in pieno dallo spaventoso vuoto occupazionale e motivazionale di inizio secolo. Sono i figli dei sessantenni vacui della Grande Bellezza, degni eredi anche dei borghesi annoiati di Moravia e via via di Nesi e Veronesi. Adulti che fanno la collezione di citazioni e di competenze inutili (come un tempo succedeva soltanto tra liceali), che spendono gli ultimi spiccioli di fortune risalenti ai nonni e che non potranno garantire lo stesso futuro ai propri figli.
Per la maggior parte del tempo ci troviamo a New York, la Mecca di questa gioventù in ritardo su tutto. Manhattan, va da sé, ma soprattutto Williamsburg, il quartiere di Brooklyn in cui si dice che sia nato il fenomeno degli hipster di questi ultimi anni (nulla ha a che vedere con gli hipster originali, e cioè i neri fighetti che impazzivano per il bebop negli anni Quaranta). Il resto si svolge a Roma, tra appartamenti spaziosi e ben illuminati e una libreria a gestione familiare sempre sull'orlo del fallimento.
Gli ingredienti per ridere amaro ci sono tutti: feste abbastanza ordinarie ma spacciate per esclusive, session fotografiche velleitarie per spot pubblicitari che non si produrranno mai, proiezioni di cortometraggi raffazzonati, abbordaggi costi quel che costi di persone che potrebbero aiutare a «svoltare», temerari lanci promozionali di rapper romani che tentano la scalata agli Usa, seduzioni sessuali svogliate, inadeguatezze colossali, ambizioni mal riposte.
La narrazione non è propriamente lineare, il romanzo assume la forma del pastiche postomoderno, un capitolo presenta addirittura due filoni di storia che corrono paralleli, l'uno in alto e l'altro in basso sulla stessa pagina, la voce narrante è affidata a una defunta veggente (omaggio a innumerevoli classici compresi T. S. Eliot e William Faulkner). La narratrice risulta essere l'unica persona a distinguersi nella massa di viziatelli fuori fuoco che affollano la storia: non è una ricca annoiata, è una giornalista culturale che si è fatta da sé ed è quella che fin dalle prime righe tiene distanti quel tanto che basta i lettori dalla materia trattata.
Satira e moralismo sono gemelli inseparabili e Class non fa eccezione: Pacifico deride ma anche si indigna e si vergogna e scolpisce parole definitive su un periodo storico e su un certo tipo di
persone. Il rischio è quello del romanzo per iniziati: difficile che un lettore qualunque, che non sa nemmeno bene dove sta Williamsburg (e ce ne sono tanti), possa sentire sua e questa storia e le ambizioni che la agitano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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