D’Alema: no a decisioni affrettate sul Kosovo

D’Alema: no a decisioni affrettate sul Kosovo

nostro inviato a Bruxelles

Non chiede un nuovo rinvio - come fa Mosca - visto che già si era speso per ritardare le ipotesi Onu quando la Serbia era impegnata in campagna elettorale per le politiche del 21 gennaio scorso, ma ci tiene, Massimo D’Alema, a mettere le mani avanti sul futuro del Kosovo: «È come trovarsi a camminare in una cristalleria. Basta una parola fuori posto per finire di rompere tutto…».
Accenti preoccupati quelli del ministro degli Esteri, nella capitale belga per il vertice Nato. Il quadro che gli hanno fatto i suoi sherpa della questione (l’Italia fa parte dell’apposito gruppo di contatto accanto a Usa, Russia, Gran Bretagna, Germania e Francia) è tutt’altro che tranquillo. Perché se l’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari, l’inviato speciale delle Nazioni Unite, avrebbe preparato un progetto - che sarà presentato alle parti in causa il 2 febbraio - che parrebbe ancora escludere piena indipendenza e totale sovranità degli albanesi di Pristina, è dato per acquisito che nel giro di pochi anni, il territorio (abitato dall’80% da albanesi) sarà fatalmente condotto a fare per conto suo o a riunirsi a Tirana.
E i serbi non ne vogliono sentir parlare. Ancora ieri, due ministri dell’uscente governo Kostunica (moderati) hanno detto che mai e poi mai potrebbero accettare una decurtazione del 15% della Serbia: «Abbiamo fatto una nuova Costituzione e due ordini del giorno per ancorare il Kosovo alla Serbia», hanno messo in rilievo. Mentre lo stesso premier uscente (che probabilmente rimetterrà l’incarico vista l’indisponibilità dei moderati a unirsi con i radicali ultranazionalisti che hanno ottenuto il 28% dei voti) ha tenuto a far sapere un paio di giorni fa che «la convivenza in Kosovo è l’unica chiave di volta per una soluzione pacifica». Naturalmente, sotto bandiera serba.
E dunque D’Alema, che rivendica l’amicizia data e ricambiata da Roma tanto con Belgrado che con Pristina, si preoccupa. Un focolaio che dovesse riprendere a eruttare a due passi da casa, non lo lascia certo indifferente. «Il Kfor svolgerà il suo ruolo», assicura intanto il segretario generale della Nato, l’olandese Jaap De Scheffer, ma il titolare della Farnesina spera non ce ne sia proprio bisogno. Invita a «evitare di alzare le bandiere», suggerisce ad Ahtisaari di fornire prima le soluzioni che si potrebbero adottare e solo poi a definire il titolo dell’intero progetto per non far divampare le attese albanesi e l’ipersensibilità dei serbi.
«Siamo in una fase molto, ma molto delicata», tiene a ripetere D’Alema, conoscendo evidentemente anche la contrarietà di Putin alla separazione e l’insistenza del premier di Pristina, Agim Ceku, che chiede di evitare «ogni rinvio».

Peccato che nei giorni decisivi D’Alema abbia in calendario altre missioni, in Asia. A Belgrado potrebbero scambiarlo per un nuovo sgarbo. Dopo l’ok fornito a Clinton per bombardare la Serbia proprio durante la crisi esplosa in Kosovo.

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