Carlo Ratti, ingegnere e archistar torinese, papà del padiglione Italia Expo, pioniere dell'idea di smart city dal volto umano, osserva il futuro dal Mit di Boston, dove dirige il Senseable city Lab. E ha già una certezza: «Andrà tutto bene? Io penso che andrà tutto stretto. Non solo i vestiti, provati dalla bulimia del lockdown, ma anche case, uffici e città. Dobbiamo pensare a dare loro nuova forma».
Che cosa porterebbe del nostro «prima» anche nelle città del «dopo»?
«Il calore umano e la voglia di stare insieme, anche pigiati: quei tempi torneranno. Le nostre città, nei millenni, sono sopravvissute a calamità più devastanti del Covid19. La peste del Trecento falcidiò il 60% della popolazione di Venezia; dopo la spagnola sono arrivati i ruggenti anni Venti immortalati da Francis Scott Fitzgerald, ancora oggi epitome di raffinata socialità urbana».
A che cosa, invece, sarebbe bello dire addio?
«Ai ciarlatani. Almeno per ora, la crisi sembra premiare la competenza di chi parte dai numeri e dalla scienza e non dalle fake news. Vorrei, poi, potere dire addio all'ufficio cubicolo, ai viaggi intercontinentali per riunioni di poche ore, ai punti Millemiglia e alle strette di mano sudaticce».
Quindi, benvenuta virtualità?
«Benvenute le sessioni video di zoom anche in calzoncini, rigorosamente nascosti, ma le videoconferenze non potranno mai rimpiazzare il piacere di incontrarsi: senza lo spazio fisico la nostra rete sociale si indebolisce. La crisi ha accelerato transizioni già in corso: lavorare in modo più flessibile, comprare un po' di più in Rete o usare la bicicletta. Non rivoluzione, ma evoluzione. Se ogni azienda riducesse il proprio spazio per uffici anche solo del 10%, molti metri quadrati in Italia e nel mondo potrebbero essere riconvertiti in case più accessibili a giovani e meno abbienti».
Quale equilibrio fra telelavoro e ufficio in presenza sarà davvero «smart»?
«Ho letto l'intervista di un valoroso capitano d'industria del nostro Paese che diceva pressappoco così: Che sorpresa, le persone lavorano anche da casa!. La scoperta dello smart working con qualche decennio di ritardo. L'equilibrio sta in un lavoro più flessibile, a volte in ufficio, altre volte in cucina, in un caffè, nella casa in campagna o in un AirBnb di Barcellona in cui una volta passavamo il weekend e ora potremo fermarci tutta la settimana».
Bella sfida per chi progetta.
«Grande opportunità: come ripensare tutti questi spazi, in modo che possano adattarsi a molteplici usi? Come progettarli evitando che quadrupedi o bipedi mezzi nudi si possano intrufolare nella diretta zoom con i colleghi?».
E la paura che ruolo avrà?
«Progetto vuol dire cercare il futuro, dal latino pro-iectum, gettare in avanti. Voglio immaginare un futuro senza paura. Tra qualche anno il ricordo di questo virus non ci spaventerà più di quanto ci spaventi leggere della peste bubbonica nei Promessi Sposi. Il design oggi si trova davanti a un bivio: utopia o oblio, per usare le parole del grande inventore americano Buckminster Fuller. L'oblio è la strada che ci aspetta se continueremo a perderci in ricerche incapaci di affrontare le sfide di cambiamento climatico, salute e intelligenza artificiale. Sarà utopia, invece, se sapremo confrontarci col presente, usando il design - nel senso anglosassone di progetto - per immaginare un futuro migliore».
Anche la medicina chiede nuovi spazi: con il progetto Cura avete riconvertito container navali in ospedali
«Ci siamo chiesti come mettere a disposizione le nostre competenze per rispondere al bisogno di posti letto. Il container come unità di terapia intensiva è un'idea per creare strutture di emergenza smontabili e spostabili. La prima unità è attiva nell'ospedale temporaneo alle Ogr - Officine grandi riparazioni di Torino, mentre altre sono in costruzione in vari Paesi, grazie all'approccio open source che abbiamo seguito: ciascuno può scaricare i disegni e usarli».
Com'è già cambiato il suo lavoro?
«Stiamo pensando a un caffè a Londra a prova di virus, oppure a Pura case, un armadietto igienizzante a ozono per purificare i vestiti. Molti dei progetti a cui stavamo lavorando prima, alla Cra Carlo Ratti Associati - hanno subito rallentamenti: cancellato il Salone del mobile di Milano, rinviato l'Expo di Dubai.
Abbiamo la fortuna di lavorare a cavallo di diversi continenti: i cantieri in Europa e a Dubai si sono fermati, ma i progetti in Cina e Australia procedono. A Torino siamo in ufficio su base volontaria, a New York in remoto. Ovunque ci stiamo reinventando».
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