Ma volete mettere la musica senza snobismo? Sarebbe come un campionato di calcio: chi è più fortunato e gioca meglio, vince e tanti saluti agli altri. Invece no. Nel pop, lo snobismo è spesso la categoria salvagente dei mediocri, dei wannabe o, semplicemente, degli haters travestiti da esclusi. Spesso diventa il passepartout dei complottisti a tutto spiano.
Sia chiaro, ci sono artisti che sono divinamente snob perché non potrebbero essere diversamente e meno male. Ad esempio Bob Dylan che in ogni concerto stravolge i propri successi perché si è annoiato di suonarli sempre uguali è l'apoteosi dello snobismo. Guccini è snob ai limiti dello scicchismo radical ma quando canta si capisce che è Guccini e deo gratias. Vasco che si mette il microfono in tasca a Sanremo è da standing ovation dello snobismo innato quindi coerente quindi puro.
Poi ci sono gli snob per mancanza d'altro, quelli che contestano Bauman quando scrive che «la cultura assomiglia oggi a uno dei reparti di un mondo modellato come una specie di grande magazzino in cui si aggirano persone trasformate in puri e semplici consumatori», ma solo perché loro in quel «grande magazzino» non sono ammessi. Qualora lo fossero, cambierebbero idea più velocemente di Marcell Jacobs alla finale olimpica. L'elenco è sterminato e quindi sarebbe vero snobismo citarli uno per uno. Basterebbe citare quei cantautori che hanno trascorso anni a dire che «mai al Festival di Sanremo» e poi ci sono arrivati, magari a bordo di una carriera ormai traballante. E pensate come sarà stato preso il recente Premio Tenco a Marracash, che ha fatto un disco sontuoso ma per gli snob rappresenta «la suburra rap» attirata dalle sirene della «musica commerciale», slogan preferito dagli snob per mancanza d'altro (c'è qualcuno che fa musica perché l'ascoltino solo gli amici e i vicini di casa?).
Per non parlare dei sedicenti alternativi fino a prova contraria, che hanno fatto vanto di restare volontariamente ai margini salvo poi scattare sull'attenti alla convocazione dell'Amadeus di turno e subito dopo prontamente adeguare il cachet.
Ma lo snobismo musicale vero è ben altro, peraltro fertilissimo perché snob, sia chiaro, si nasce, e chi lo diventa è mooolto meno credibile. De Gregori è snob già dal soprannome, «Il principe», ma se lo può permettere anche quando non potrebbe. Paolo Conte ha lo snobismo del talento, ossia l'intelligenza di capire che puoi scrivere Azzurro ma ti senti meglio se canti Sijmadicandhapajiee a un festival jazz di Antwerp dove nessuno capisce cosa stai dicendo. E, tanto per fare un esempio «nuovo», Billie Eilish è snob dalla testa ai testi eppure ha un successo globale che è tutt'altro che snob.
Infine c'è lo snobismo dell'ascoltatore, cioè la categoria loggionistica che impone quale sia la musica elevata e, di conseguenza, quella plebea. Ma in fondo è una categoria così fluida che cambia a ogni generazione (avete presente Sinatra che diceva che il rock era roba da straccioni che sarebbe subito passata di moda? Ecco).
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